Angela Mastrolonardo, presidente dell’Associazione “Gli anni in tasca” e direttrice del festival Youngabout, si dedica da tempo a creare un’offerta cinematografica per il pubblico dei giovanissimi e per le scuole. Una missione che ha comportato tante battaglie e tante soddisfazioni. Ne abbiamo parlato con lei.

Angela, tu hai dedicato quasi trent’anni della tua vita a portare il cinema ai ragazzi. Perché? Cosa ti ha spinto?

Sin dalla primissima infanzia ho amato il cinema: durante l’estate avevo il permesso di andare al cinema da sola con mio fratello, in un piccolo paese vicino Bari, dove trascorrevo le vacanze. Tra i tanti titoli che ci affascinarono, ricordo Lord Jim, che ci rapì al punto da vederlo due volte (i miei, preoccupatissimi, vedendo che tardavamo, vennero a cercarci in sala). A mio padre piacevano i western, per cui la domenica non ne perdevamo uno… e accompagnavo anche mia nonna al cinema. Vidi con lei il film Incompreso, che mi turbò profondamente. Ricordo anche un altro film che a mia nonna piacque moltissimo, e anche a me: Anonimo veneziano. Poi, durante l’adolescenza, feci vere e proprie scorpacciate di pellicole. Con due compagne di scuola ci travestimmo da adulte per poter vedere i film “vietati ai minori” di Pasolini… E così, quando si trattò di individuare quale facoltà frequentare, non ebbi alcun dubbio nello scegliere il nuovissimo indirizzo di studi che era stato appena fondato a Bologna: il DAMS. Fu arduo convincere i miei genitori, ma ero troppo decisa e davvero animata da una passione.

Il cinema è sempre stato per me fonte di gioia e consolazione, anche quando ho avuto problemi e dolori nella vita. Non appena mi è stato possibile ho desiderato condividere con i più piccoli e i più giovani questa passione, cercando di contagiarli con il mio amore per i film. Più il tempo passa e più è difficile per i ragazzi entrare in contatto con il cinema visto in sala, apprezzarne le modalità di realizzazione, il lavoro collettivo, l’impegno, la complessa macchina del cinema. Una matrioska che al suo interno contiene altre bambole, di varie dimensioni, in un gioco di richiami e legami tra i diversi livelli e aspetti della “settima arte”. dimensione più infantile.

Qual è la caratteristica distintiva del vostro lavoro?

Il mio primo progetto per una rassegna di film per le scuole risale al 1995, e mi fu richiesto dal presidente di un quartiere di Bologna che conoscevo personalmente da molti anni: si doveva celebrare il centenario della nascita del cinema e le scuole si erano rivolte alle istituzioni locali per ricevere delle proposte. Selezionando i film da mostrare ai ragazzi, mi resi conto che la mia preparazione universitaria era ormai obsoleta e che era necessaria una formazione apposita per poter lavorare con le scuole. Fu così che in autunno mi iscrissi ad un corso di aggiornamento organizzato dalla Regione Lombardia, allora molto attiva in campo cinematografico. Conobbi distributori cinematografici europei e direttori di festival dedicati alla cinematografia per ragazze e ragazzi, e scoprii un mondo che non conoscevo, una realtà ricchissima e stimolante, tanto che già nel 1996/1997 organizzai, insieme all’attrice Olga Durano (con cui poi fondammo la nostra associazione) la prima edizione della rassegna internazionale “Un film nello zaino”. Fu un esperimento, con cinque titoli e solo due scuole del Quartiere San Vitale. In quegli anni credo che la nostra proposta fosse la prima di questo genere a Bologna, con film in lingua originale, presentati in overvoice in sala. Da subito capimmo che era necessario andare nelle classi per parlare dei film visionati, per introdurre gli studenti alla grammatica del linguaggio cinematografico.

Allora eravamo giovani e piene di energia, le classi che partecipavano erano ancora poche e le attività nelle scuole ci portavano ad approfondimenti, collegamenti con altre discipline, drammatizzazioni. Era davvero piacevole perché anche gli insegnanti, molti dei quali avevano vissuto il ’68 e la passione per il cinema, capivano e appoggiavano il nostro lavoro. La visione dei film al cinema era accompagnata dalla successiva attività didattica in aula. Piacevano moltissimo i film che provenivano dalla Norvegia, dalla Svezia, dalla Danimarca, dall’Olanda: paesi nordici con una ricchissima produzione per ragazze e ragazzi. Nei primi dieci anni di attività la nostra rassegna fu ospitata da tante sale cinematografiche di Bologna, alcune delle quali ora sono tristemente chiuse. Per alcuni anni organizzammo contemporaneamente sia la rassegna “Un film nello zaino” che il festival “Youngabout”, nato sperimentalmente nel 2007. Dal 2016 ci siamo dedicate esclusivamente al Festival, che richiede un grande lavoro organizzativo.

Da dove deriva il nome dell’associazione?

La nostra associazione è nata formalmente nel 1998. La scelta della denominazione “Gli anni in tasca” (Il Cinema e i Ragazzi) è un omaggio al regista francese François Truffaut, sensibile e inarrivabile cantore dell’infanzia e dell’adolescenza, e al suo film L’argent de poche del 1976, presentato in Italia con il titolo Gli anni in tasca. Un racconto corale che riesce a comunicare, senza retorica, la gioia di vivere, i desideri e i sentimenti dei suoi giovani protagonisti.

Quali sono gli appuntamenti salienti durante l’anno?

La prossima edizione del festival “Youngabout” si terrà dal 7 al 17 novembre 2023. Nei mesi precedenti ci sarà un’attività didattica dedicata alla formazione e selezione della Giuria delle ragazze e dei ragazzi, si completerà la selezione dei film (iniziata mesi prima), si prepareranno la grafica e i social. A breve organizzeremo la festa di premiazione delle migliori recensioni scritte dai giovani spettatori/spettatrici. E poi saranno presentati al pubblico, all’Arena Orfeonica, i cortometraggi realizzati nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola, promosso da MiC- Ministero della Cultura e MIM – Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Chi vi ha supportato in tutti questi anni? Avete una rete di partner?

L’attività dell’Associazione è stata sostenuta sin dall’inizio dalle istituzioni locali (Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna – Film Commission) in risposta alla partecipazione ad appositi bandi, e anche con il supporto all’organizzazione del festival, o con la concessione di spazi prestigiosi. Anche il Ministero della Cultura e il Ministero dell’Istruzione e del Merito ci sostengono attraverso il bando Cinema per la Scuola. Dal 2000 l’Associazione “Gli anni in tasca” fa parte di ECFA (European Children’s Film Association), un organismo che, a livello europeo, coordina e coadiuva l’attività di chi produce, distribuisce film e documentari o organizza festival o rassegne cinematografiche dedicate ad un pubblico in formazione.

Come vi state adeguando ai cambiamenti di linguaggio nel cinema e anche nelle tecnologie?

Nei due anni di isolamento, dovuti alla pandemia, non abbiamo rinunciato all’organizzazione del festival, ma ci siamo organizzati in modo tale da presentare i film online, attraverso la piattaforma My Movies. I film sono stati visti non solo dagli studenti, ma da tutte le famiglie e dal pubblico eterogeneo che si collegava alla piattaforma da ogni parte d’Italia. Abbiamo anche un canale Vimeo del festival per i cortometraggi in concorso e per i cortometraggi frutto dei nostri laboratori. Però noi amiamo tanto la sala e preferiamo che i giovanissimi scoprano la magia di vedere i film al cinema. Per quanto riguarda il linguaggio cinematografico, avvertiamo molto l’influenza delle serie tv nella percezione e nella fruizione delle immagini in movimento. Senza demonizzare le serie, ne parliamo con le ragazze e i ragazzi, cercando di far comprendere loro le differenze e le modalità di scrittura e di realizzazione specifiche.

C’è qualche film che ha colpito particolarmente i ragazzi?

C’è un film norvegese, Olly Alexander filibon bon bon, che presentammo più di 20 anni fa ai bambini delle scuole materne e del primo ciclo delle scuole elementari. Un racconto meraviglioso dedicato alla prima infanzia, alle gelosie non dette e riconosciute, quando nasce un fratellino… ai rapporti con i nonni e i genitori. I bambini nel cinema furono travolti dall’emozione e dalla gioia di vedere sé stessi e i loro sentimenti riflessi nello schermo. Un piccolo gioiello prezioso. Ebbene diversi anni dopo, mentre in una classe di liceo parlavo di uno dei film della programmazione e ne facevo l’analisi insieme agli studenti, all’improvviso uno si alzò e raccontò a me e alla classe quanto fosse stato colpito da bambino da quel film. Ricordava perfettamente il titolo! E l’aveva visto a 5 anni…

Gli ingredienti che occorrono per lasciare una traccia sono la sincerità degli intenti, la capacità di saper coinvolgere emotivamente gli spettatori, il ritmo, il punto di vista, gli attori bambini e adolescenti in grado di aderire con sincerità ai propri personaggi.
Nell’ultima edizione del festival tre film in particolare hanno richiamato applausi a scena aperta: il serbo-croato How I Learned To Fly del regista Radivoje Andrić, il giapponese It’s A Summer Film! con la regia di Soushi Matsumoto e infine l’olandese Bigman di Camiel Schouwenaar: ognuna di queste opere, così diverse tra di loro, ha saputo cogliere gli sperdimenti e i batticuore degli adolescenti, le loro passioni come la cinefilia o lo sport, ma con delicatezza, con scelte registiche imprevedibili (come la fusione di più generi), rappresentando vere dinamiche familiari, in ambienti riconoscibili e simili a quelli in cui vivono i giovani spettatori.

E qualche aneddoto particolare che ci vuoi raccontare?

Sì, un episodio che mi è capitato nel 2019. Subito dopo la proiezione del film olandese My Giraffe di Barbara Bredero, un bambino di circa 4 anni, molto emozionato, tirandomi la manica della giacca, mi disse che mi voleva dire una cosa nell’orecchio e mi sussurrò: “Grazie signora, che belli i genitori del film che non litigano mai e sono sempre contenti”. In effetti la famiglia descritta nel film viveva in armonia, con un bimbo piccolo innamorato della giraffa dello zoo e un nonno molto presente… È uno dei miei ricordi più toccanti.