I sette padri di Adelmo Cervi
Intervista a Liviana Davì, regista de “I miei sette padri”, un documentario che, a 80 anni dall’eccidio dei fratelli Cervi, racconta la loro storia tramite la personale ricerca di un figlio, Adelmo Cervi.

Come è nata l’idea di un documentario su Adelmo Cervi?
Io sono una filmmaker e mi occupo anche di comunicazione – sono i miei due lavori principali – e ho sempre lavorato per le istituzioni: dal 2018 ho iniziato a collaborare con l’Istituto Cervi come responsabile della comunicazione e ho avuto modo di conoscere i familiari dei Cervi, in particolare Adelmo. Adelmo mi ha colpito perché tra i familiari è quello che ancora oggi porta avanti in maniera instancabile la testimonianza della sua famiglia: va in giro in tutta Italia da quasi dieci anni e ha scritto anche un libro (su cui si basa il film) sulla sua ricerca del padre Aldo. Aldo era non solo il padre di Adelmo, ma anche il più famoso dei sette fratelli Cervi, perché fu colui che portò la lotta partigiana all’interno della famiglia e, conseguentemente, nella sua zona.
Come si avvicinarono i Cervi alla lotta partigiana?
La loro storia in questo è particolare perché erano una famiglia di contadini, ma non erano ben visti. Erano diversi dagli altri, venivano infatti definiti “contadini di scienza” poiché avevano introdotto una serie di innovazioni, come il livellamento del terreno o il primo trattore portato in quella zona. Queste innovazioni avevano permesso loro di emanciparsi dalla mezzadria. Riuscirono così a prendere in affitto un podere, che diventerà poi “Casa Cervi”, e ad avere scorte di cibo che usavano per sostenere la lotta partigiana e i numerosi rifugiati che accoglievano nella loro casa.
Aldo, il padre di Adelmo, si avvicinò alla lotta partigiana quando, durante il servizio militare, venne ingiustamente imprigionato per tre anni a Gaeta per aver inavvertitamente sparato e ferito un ufficiale che non aveva risposto al “chi va là”. In carcere aveva avuto l’occasione di fare alcune letture, tra cui Il capitale di Marx, e di conoscere dei prigionieri politici – sia italiani che stranieri – che gli avevano fatto conoscere la storia del comunismo e della Rivoluzione d’Ottobre.
È grazie a questa esperienza di Aldo che la famiglia Cervi decise di organizzarsi contro l’ingiusto e sanguinario regime fascista. Una lotta che non era solo antifascista, ma anche anticapitalista, poiché portava avanti l’idea di un antifascismo proletario e “umano”, che si opponeva allo sfruttamento dei contadini da parte dei padroni.


Come hai sviluppato la narrazione di questa storia? Che voci hai scelto per raccontarla?
Nel film ci sono dei passaggi del libro di Adelmo letti da lui e dalla sua nipotina, un personaggio che ritorna diverse volte nel film, ma c’è anche la voce di suo nonno, noto come “papà Cervi”, che è l’altro grande protagonista del documentario. Ci sono poi le testimonianze delle vedove, in particolare quella della madre di Adelmo, e i filmati in 8mm girati negli anni Ottanta dal cugino di Adelmo, Mario Cervi, che raccontano scene di vita familiare nella casa Cervi, già trasformata in museo.
La ricerca è personale ma il racconto è corale, e ripercorre tutti quegli episodi che hanno contribuito alla stratificazione della memoria di Adelmo. Tra l’altro vengono usati materiali un po’ inediti per arricchire le voci di memoria familiare, come un’intervista audio a Papà Cervi fatta negli anni Sessanta da Franco Cigarini, un documentarista che girò anche il bellissimo film Papà Cervi (oggi conservato da Aamod, l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) di cui ho inserito alcune sequenze.
Ho utilizzato anche parti di film di fiction, come il film di Gianni Puccini intitolato I sette fratelli Cervi, per poter visualizzare alcune scene importanti, come la scena di apertura del documentario, in cui vediamo i fratelli Cervi davanti al plotone di esecuzione nel poligono di Reggio Emilia, subito prima di essere fucilati.
La ricerca quindi si svolge anche attraverso i luoghi-simbolo della storia dei fratelli Cervi?
Nel film Adelmo ripercorre in bicicletta tutti i luoghi di lotta di suo padre, in un movimento ascendente che va dalla pianura alla montagna, partendo dalla casa contadina, casa Cervi, e da quella in cui vivevano ancora prima, quando erano mezzadri. È lo stesso percorso che Adelmo fa ogni giorno, e per questo ci è sembrato naturale raccontare così la sua storia, pedalando su quei sentieri con la sua inseparabile bicicletta. Una modalità che ci ha permesso di passare da un luogo all’altro concedendoci anche quei momenti di silenzio per riflettere su ciò che si era appena visto, per respirare un po’: ci sono tante parole, tanti racconti e tante voci e c’è bisogno di un attimo per farle decantare .
La storia ha un movimento circolare: si parte dalla fine, quindi dall’eccidio, poi Adelmo e suo cugino Gelindo Cervi iniziano a raccontare la storia della vita contadina passando dalle due diverse case della famiglia nella pianura reggio-emiliana. Si passa poi alla montagna, dove Adelmo incontra Giacomo Notari, un partigiano di Reggio Emilia che a sedici anni aveva conosciuto il padre di Adelmo quando si presentò a casa sua per organizzarsi con suo padre e creare i primi gruppi GAP, quindi di lotta vera e propria, con cui successivamente fecero delle operazioni di disarmo di diverse caserme dei carabinieri.
Di queste operazioni parla anche Otello Sarzi, un partigiano poi diventato celebre burattinaio, in alcune interviste inedite girate da Mediavision, la casa di produzione di Reggio Emilia con cui ho portato avanti questo progetto.
Otello ne parla attraverso alcuni simpatici aneddoti: ad esempio una volta, dopo il disarmo di una caserma, la figlia del maresciallo si affacciò alla finestra urlando “Scusate, qui sono rimaste delle rivoltelle!” e loro tornarono indietro a prendersele! Mentre in un’altra occasione, dopo un altro disarmo, per fuggire usarono un tandem, ma presero una tale velocità durante la discesa che non riuscivano nemmeno ad afferrare i pedali. Lì, afferma Otello, sperimentarono davvero cosa significasse aver paura di morire!
C’è da rimarcare che i fratelli Cervi non hanno mai voluto la guerra – infatti non hanno mai sparato un colpo – ma ciò non vuol dire che non fossero pronti alla lotta.


Quale approccio hai scelto per raccontare la storia dei Cervi?
Con la sua ricerca Adelmo cerca di comprendere chi fosse suo padre al di là del mito. Non è l’approccio di uno storico, ma di un figlio colpito dalla terribile tragedia che ha distrutto la sua famiglia. Pensiamo anche a sua nonna morta per il dolore poco tempo dopo l’uccisione dei suoi sette figli. Suo nonno, “papà Cervi” è il primo grande testimone di questa storia, che è stata poi resa nota a livello nazionale grazie al lavoro del Partito Comunista e ai più grandi intellettuali del tempo, primo fra tutti Italo Calvino che a seguito di un’intervista a papà Cervi pubblicò una serie di articoli bellissimi. Anche Piero Calamandrei scrisse un epigrafe per “mamma Cervi”, e vennero girati molti film come quello di Giovanni Puccini di cui dicevo prima e un cortometraggio di Elio Petri, I sette contadini, su papà Cervi. In tutti gli anni Sessanta c’è stato un lavoro culturale importante per portare avanti la testimonianza della lotta dei Cervi.
Questa storia quindi è stata già raccontata da molti. Io ho scelto di rappresentarla compiendo la scelta abbastanza radicale di usare quasi esclusivamente fonti di memoria famigliare, prima fra tutte quella di Adelmo, senza ricostruzioni di storici. Per me infatti una cosa è la Storia, quella fatta dagli storici, frutto di confronto e di consultazione di diverse fonti e per sua natura più distaccata, mentre io nel film ho scelto di approcciarmi alla memoria adottando uno sguardo intimo e personale.
Perché secondo te ancora oggi è importante raccontare questa storia?
Secondo me oggi è fondamentale ricordare questa storia perché è grazie a queste persone che oggi viviamo in una democrazia, e lo è ancora di più da quando è tornato in voga il revisionismo storico, con affermazioni come “ l’antifascismo non è nella nostra Costituzione”, quando invece ne è un valore fondante.
Le operazioni culturali che raccontano queste storie non sono solo neutre ricostruzioni del passato, ma ci riportano alle esperienze concrete, alle tragedie vissute dalle persone e dalle famiglie, interpretando quindi la memoria come qualcosa di vivo e tragicamente attuale. Progetti che non riguardano solo il passato, ma anche e soprattutto il presente e il futuro.
Cos’è la memoria oggi? È portare avanti una testimonianza in maniera attiva, come fa Adelmo, continuando a lottare per le cause e i diritti di oggi, così come faceva la sua famiglia durante la Guerra.
Il titolo vuole evocare anche questo: “i sette padri” sono i nostri padri, il mio e quello di tutti coloro che guardano il film, ma anche quelli di Adelmo a cui spesso chiedono “Ma tu sei figlio dei sette fratelli Cervi?” e lui ogni volta risponde “No, io sono il figlio solo di Aldo!”.
Nonostante Aldo fosse un mito della Resistenza, ciò che interessa ad Adelmo è conoscere suo padre per ciò che era realmente, come uomo, cercando la verità nelle parole dei testimoni e dei compagni di lotta. Nessuno però gli racconta mai ciò che lui vuole davvero sapere, e così Adelmo giunge alla conclusione che la sua è una ricerca impossibile: può ritrovare suo padre solo in se stesso, nel suo impegno politico e nelle lotte che porta avanti ogni giorno.
Credo che il vero valore del film sia proprio il suo essere attuale, e per questo ci hanno creduto in tanti. Abbiamo ricevuto un notevole supporto, sia attraverso l’assegnazione del bando sviluppo dell’Emilia-Romagna Film Commission, sia grazie a un fortunato crowdfunding, che ha visto la partecipazione di più di settecento realtà, tra cui oltre cento sedi dell’ANPI, numerose sezioni della CGIL, moltissime istituzioni antifasciste ma anche associazioni e privati che hanno creduto in questa storia.
Queste realtà continuano a prodigarsi sostenendoci anche nella distribuzione del film, aiutandoci a organizzare una serie di proiezioni, soprattutto in Emilia-Romagna, ma anche in molte altre città di Italia, in date significative per la storia della Resistenza e per la storia dei Cervi.


Note:
Tutte le foto nell’articolo sono materiale di backstage e fotogrammi del film forniti da Liviana Davì. (foto di Matilde Piazzi)
In copertina: Adelmo Cervi, protagonista del documentario, mentre si dirige verso il podere di Valle Re, la prima casa dei Cervi.
About Author / Claudia Rosati
Laureata in Antropologia e appassionata di cinema documentario, lavora nella realizzazione di progetti audiovisivi.