Questa è Bologna
Alvise Renzini e Lucio Apolito sono i registi di This is Bologna, sostenuto dal Fondo Regionale dell’Audiovisivo – Emilia-Romagna Film Commission, in proiezione al Biografilm Festival 2023. Abbiamo parlato con loro di questo documentario a dir poco originale.

Come è nata l’idea di “This is Bologna”?
Lucio: Il film è nato come formato a episodi, come si faceva nel cinema degli anni ’60. Siamo partiti dall’idea di fare qualcosa di fruibile sia nel suo insieme che come singoli episodi. Ci rifacciamo anche ad un formato abbastanza diffuso soprattutto negli Stati Uniti che è il mini documentario da 7 minuti per il grande portale editoriale, come ad esempio “The Atlantic”. Una volta terminato abbiamo accettato il fatto che avesse anche una sua fruibilità: un film a episodi come quelli del genere a cui ci siamo ispirati, cioè il mondo movie, reso famoso da Jacopetti e Prosperi, che veniva fatto con materiali di agenzie di stampa, commentati e legati insieme da una voce fuori campo. Il mondo movie era una produzione completamente italiana, una specie di genere cinematografico a sé, alla fine degli anni Sessanta. Il mondo movie per eccellenza è Mondo cane di Jacopetti, Cavara e Prosperi, del 1962. Erano film a episodi che raccontavano delle bizzarrie o cercavano di descrivere storie strane con un tono anche malinconico. L’ideologia soggiacente era che c’era un declino sociale in atto.
Alvise: Solo che il nostro è un mondo movie fatto a chilometro zero, senza andare in giro per il mondo ma partendo dal pianerottolo di casa… abbiamo indagato su delle cose in via di estinzione, siamo andati a cercarci le cose molto fragili, che oggi ci sono ma che i processi di trasformazione ci toglieranno di torno a breve.
Queste storie ce le abbiamo tutti sotto gli occhi, come i barbieri o i cinema a luci rosse. Parliamo di piccoli esercizi commerciali, parliamo di esercenti, di gente che vive sulla strada vendendo qualcosa a qualcuno. Sono esercizi fragili, oggi ci possono essere ma finita questa gestione non ci saranno più, se ne andranno, perché il mondo è cambiato. Un po’ com’era nei mondo movie in cui si raccontava delle tribù della Papuasia, di cannibali in via di estinzione. Te li facevano vedere al cinema: oggi te li faccio vedere ma è l’ultima volta che li vedi. Anche nel nostro film stiamo guardando qualcosa per l’ultima volta, senza saperlo. In città, anche sotto casa nostra, c’è qualcosa che oggi c’è e domani se ne andrà e non tornerà. Questa malinconica ironia è il filo conduttore del nostro film. È anche un pretesto per guardare il mondo in maniera divertita.


Come avete individuato le dieci storie?
Lucio: Abbiamo fatto una lista di esercizi che ci sembravano sull’orlo dell’estinzione. Per quanto riguarda ad esempio i barbieri abbiamo indagato la residua generazione di quelli che adesso vanno per i settanta, per scoprire che avevano imparato il mestiere tutti nello stesso modo, avevano un loro dialetto, un loro gergo, e anche una loro estetica.
Per i cinema porno è stato facile individuarli come oggetto in via d’estinzione. Oggi ne è rimasto solo uno, noi siamo riusciti a filmare il penultimo. La pornografia ovviamente ha preso ben altre strade, mentre i cinema porno erano un luogo di incontro (e lo sono tuttora) soprattutto per persone di una certa età. Per loro è un luogo anche di convegno sessuale. Tolti il cinema porno, quel tipo di sessualità scomparirà per sempre.
Qual è il taglio registico, il linguaggio visivo del film?
Alvise: È uno zuppone! Un fritto misto. Uno spettatore che esce dalla proiezione si chiederà: “Ma cosa sto mangiando?”.
Lucio: Noi abbiamo spesso lavorato in tecnica mista. Ci sono molti inserti di animazione, video grafica, varie camere anche degli anni ’80, super 8… Ci piace mischiare formati e tecniche differenti.
Alvise: Considera che lo abbiamo girato in buona parte io e Lucio, a piedi, non abbiamo manco la patente… quindi eravamo in giro in piena canicola di luglio, per le periferie bolognesi con i nostri borsoni. Non è che avevamo la sedia con scritto “regista” capisci? È come se fosse una serie di servizi sul campo, molto atipici. Servizi per un telegiornale regionale un po’ fuori di testa…


Volete raccontarci una o due di queste strane storie?
Alvise: Vi racconto quelle più concentrate sul concetto di città. Ad esempio c’è l’episodio di mezzo, in cui si parla di una “non città”, dei piccoli villaggi che vengono fondati dove esistono terreni senza umani: lungo le ferrovie, al riparo dei viadotti, sui bordi dei fiumi, ai Prati di Caprara. Si parla della natura, delle piante che ci crescono sopra, si preconizza un villaggio che potrebbe essere una città futura, oltre Bologna. Oppure la storia girata sull’autobus 61, anch’essa una riflessione sulla città. L’autobus notturno è visto come un rituale di protezione scaramantica, il cui sacerdote è l’autista. Come se l’autobus 61 rappresentasse i confini della città.
La mia storia preferita però è quella sulla pietra arenaria, una riflessione sulla calcificazione della città. Quello che resta, alla fine di tutto, è la pietra. Pensiamo ad esempio al corallo: non sappiamo nulla degli esserini che lo hanno costruito. La cosa bella del corallo è la sua struttura, quello che rimane. E per le città non è molto diverso. Così abbiamo raccontato la storia dei cippi di via Fondazza, e della materia di cui sono fatti.
Lucio: Oggi questi cippi si trovano all’ingresso dell’Archiginnasio, ma la storia del loro ritrovamento è incredible. Negli anni ’80 (grazie a una vincita al Totocalcio…!) alcune persone iniziarono la ristrutturazione della loro casa in via Fondazza, e trovarono questi cilindri alti due metri, con un importante diametro, decorati con motivi floreali, che qualcuno quattromila anni fa aveva messo a dormire. Non erano stati distrutti, erano stati deposti, con calma, con cura, per poi riemergere appunto negli anni ‘80. Noi abbiamo scelto di raccontare l’avventura della famiglia che li ritrovò nel proprio cortile di casa, e quindi anche di usare le immagini di quello che è stato un evento familiare per loro.
Alvise: Infatti non ci sono le immagini ufficiali del museo, c’è l’album familiare che scattò la signora Macrì quando fece fare i lavori nel suo giardino, di primo inverno. L’album inizia che i lavori sono appena cominciati e poi avviene questa scoperta prodigiosa. Certo non stiamo parlando dei Bronzi di Riace, però nel nostro piccolo cittadino forse è il manufatto umano più antico che ci sia in città.
Lucio: Importante anche per il suo valore simbolico, equivalente a quello che nella cultura latina erano i Termini, cioè le guardie del confine, la porta della città, essi stessi Dèi, due divinità. Da questa riflessione iniziamo a chiederci alcune cose. Questi cippi sono fatti della stessa pietra di cui era fatta la Bologna del Rinascimento, cioè l’arenaria, che ha un problema: si consuma, si scioglie. E questo ci porta a ragionare, ad esempio, sulla nostra effimera presenza…

Note:
Tutte le immagini di questo articolo sono tratte dal film documentario “This is Bologna”.
About Author / Elisa Mereghetti
Regista documentarista, è tra i fondatori di Ethnos.