La figura dell’operatore cinematografico, conosciuta anche con il sinonimo di “proiezionista”, ha subito parecchi cambiamenti tra i due millenni. Trasformazioni tecnologiche, soprattutto, che non hanno comunque dato finora il giusto valore ad una professione considerata di secondo piano. Un mestiere nascosto per natura ma essenziale per la viva concretezza del cinema, una specie di entità invisibile capace però di manovrare con estrema sensibilità e massima discrezione quella meccanica che dà origine alle emozioni della settima arte.

Alessandro "Udo" Ventura

A Bologna, Alessandro “Udo” Ventura è da 30 anni il rappresentante più dinamico ed esperto di questo ruolo. La sua esperienza accumulata in tante sale della città è un ponte ideale tra il passato della pellicola analogica e il futuro del digitale, in un presente in cui il computer ha già sostituito le pesanti attrezzature della Prevost e dove il pericolo di combustione della pellicola è un lontano ricordo. Una guida che ci permette di illuminare una professione oltre quei limiti ambientali imposti dal buio di una sala in cui svolge il suo compito.

Alessandro è decisamente distante dalle figure classiche che lo stesso cinema con variabile intensità ci ha proposto nel corso del tempo: non somiglia affatto all’Ivan Sanchin de Il Proiezionista di Andrej Konchalovskiy e nemmeno possiede quel romanticismo provinciale narrato in Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore.

Non è neppure vittima di quella alienazione che si è soliti attribuire a chi è abituato a restare dentro le quattro mura di una cabina di proiezione, schiavo di una innaturale ripetitività tipica dell’operaio piuttosto che dell’artista.

Un professionista dinamico e libero che si divide tra la passione per il rock e l’editing digitale e che in questi giorni è in postproduzione con un documentario, tutto dedicato ai musicisti della sua città.

Cinema Odeon, via Mascarella, Bologna

Parliamo dei tuoi esordi in sala. Come hai cominciato? Cosa ti ha fatto appassionare alla proiezione e cosa ti ha portato verso un lavoro così particolare ma che ti rende quasi invisibile?

Ho cominciato per caso, come spesso accade, grazie a mio fratello, allora direttore del cinema Odeon di Via Mascarella. Trenta anni fa era un mestiere apprezzato, che richiedeva molte più competenze rispetto ad oggi. Mi alzavo alle 6 di mattina per imparare a montare la pellicola con la giuntatrice, stando molto attento a non tagliare o ad alterare le scene. Si doveva conseguire un “patentino” rilasciato dalla Prefettura per lavorare e occorreva studiare bene l’elettromeccanica ma anche le procedure di sicurezza. La pellicola era infiammabile e bisognava dimostrare ai Vigili del fuoco di saper gestire un incendio. A quei tempi si usavano dei semplici sacchi di sabbia per domare eventuali fuochi in cabina.

Gli esaminatori spesso non perdonavano gli errori e l’esame finale, che si dava in un cinema, era veramente temibile perché i proiettori con cui si imparava potevano non essere gli stessi in sede d’esame e ci voleva un buono spirito di adattamento per riuscire. Le macchine allora erano quasi sempre due e venivano chiamate “rock n roll” perchè mentre un proiettore andava avanti un secondo serviva per riavvolgere.

Dopo i primi tempi all’Odeon passai al Rialto Studio, tuttora presente nell’omonima via, e poi all’Arlecchino di Via Lame, una sala bellissima che allora contava quasi mille posti a sedere, uno dei fiori all’occhiello della città oggi rimodernato ma con capienza purtroppo dimezzata.

Il mio sodalizio con Seac Film e Circuito Cinema continua ancora oggi, in uno dei cinema più antichi di Bologna, il Roma D’Essai di Via Fondazza.

La sala del Cinema Arlecchino, via Lame, Bologna

Cosa ne pensi dei cambiamenti portati dalla tecnologia e come hanno modificato il tuo mestiere?

Innanzitutto un cambiamento fisico personale. Sono riuscito a salvare in tempo la mia schiena visto che le pellicole erano davvero pesanti e doverle montare sulla macchina di proiezione era davvero faticoso. In seconda battuta è stata una rivoluzione per quello che riguarda l’attenzione: era necessario farsi sempre trovare pronti a intervenire in caso di danni alle pellicole, piuttosto frequenti, per evitare di interrompere lo spettacolo per troppo tempo. In caso di rottura si faceva una giunta con nastro adesivo trasparente poi, con l’avvento del poliestere, materiale ignifugo che risolveva il problema della combustione accidentale, le cose cambiarono. Le bobine non si rompevano più ma si assottigliavano, facendo perdere molti fotogrammi con sonoro annesso e rischiando di provocare danni al proiettore.

Il mio primo approccio con le attuali tecnologie è stato durante il Festival di Venezia, in cui ho lavorato come proiezionista nella sezione Giornate degli Autori. Ci arrivai chiamato dalla Kinoton per risolvere un problema tecnico e fu una esperienza bellissima che ho ripetuto altre volte. Ci furono dei singolari imprevisti dovuti all’inesperienza su questi mezzi: la proiezione di un film con George Clooney fu interrotta per un guasto e lui fu abilissimo a intrattenere gli spettatori in quella pausa forzata.

Comunque, se prima l’operatore doveva essere sempre presente in cabina, oggi è una figura adattabile a più mansioni dato che, tramite una interfaccia sul pc, si comanda uno spettacolo anche dall’atrio o dalla cassa.

Alcuni colleghi hanno riscontrato parecchie difficoltà di adattamento durante la migrazione verso il digitale, non sapendo gestire i file e i comandi necessari se non in maniera tradizionale. Ci sono molti vantaggi e non mi sento un nostalgico visto che, dopo molti passaggi, la pellicola risultava deteriorata e perdeva quella fragrante luminosità che ci si aspetta. Il fascino dell’antico non si può negare ma resiste solo in situazioni particolari, tipo il Cinema Ritrovato.

Anche i formati si sono ridotti per varietà e resistono solo il flat, detto anche 1:85, e lo scope. L’imax c’è ancora ma serve uno schermo da 30 metri per apprezzarlo.

Mi manca solo il rumore attraverso il quale, come un meccanico di lungo corso, riuscivo quasi istantaneamente a capire cosa non andava nelle attrezzature.

Cinema Europa, via Pietralata, Bologna

In 30 anni di sala avrai senz’altro vissuto esperienze quantomeno singolari. Puoi raccontarne qualcuna?

La mia posizione mi ha fatto conoscere parecchi personaggi tra registi, attori e produttori, in qualche caso anche intimamente. I registi sono molto attenti alla qualità della proiezione, specialmente se si tratta di prime visioni o presentazioni che li coinvolgono direttamente. Ricordo con immenso piacere il mio concittadino Pupi Avati, che mi accompagnava in cabina per provare le luci dando grande importanza al mio lavoro e alla mia persona. Anche Ferzan Ozpetek mi ha lasciato qualcosa dentro, sia professionalmente che umanamente. Incoraggiai un timidissimo Stefano Accorsi prima di un suo dialogo con il pubblico al cinema Arlecchino ed ebbi l’onore di incontrare anche Michael Cimino durante una retrospettiva apprezzandone la squisita gentilezza.

L’episodio più curioso e divertente in assoluto è del 2011 ed è legato al film di Terence Malick The Tree of Life. Al Lumiere di Via Pietralata i rulli del primo e del secondo tempo furono invertiti e nessuno se ne accorse per una settimana. La notizia finì pure sui quotidiani nazionali.

Ci sono anche dei ricordi più frivoli e spassosi che ho vissuto all’interno della sala, come ad esempio le due anatre che trovai al guinzaglio nei bagni oppure alcune anguille abbandonate nei lavandini.

Il foyer del Cinema Rialto, via Rialto, Bologna

Secondo la tua opinione, considerando anche il Covid, come è oggi lo stato dell’arte dei cinema a Bologna?

Non buono. Le spese gestionali altissime, a fronte di ricavi modesti, hanno provocato una drastica diminuzione numerica. Le istituzioni non aiutano abbastanza il settore concentrandosi solo su bandi e varie film commission. Da quando faccio questo mestiere ne ho visti chiudere tanti, purtroppo. Durante il Covid è stata dura e sovvenzioni dirette non sono mai arrivate, lasciando con un salario dimezzato molti lavoratori.

Eppure il cinema rimane un intrattenimento popolare, antitetico alla sacralità del teatro dove esistono ritmi e rituali notoriamente differenti. Sono ancora le grandi produzioni a tenere in piedi il settore. Ogni tipologia di pubblico va accontentata perché c’è chi preferisce la comodità e i servizi di un multiplex e chi invece apprezza gli spazi più ristretti. Per questo la possibilità di scegliere deve essere garantita da questo tipo di industria.

Cinema Arlecchino, foto d'epoca

Che rapporto hai con il documentario? So che ti stai preparando ad uscire dal buio della sala…

Il documentario resta. Per me è una fedele e duratura sintesi della verità. Adoro il rigore dell’Istituto Luce ma anche i colori di National Geographic. E’ un mezzo di espressione ideale perchè rimane come segno del tempo, come un libro da consultare quando se ne ha voglia.

Insieme all’Associazione Rocknrolla di Marc Magnus, guidato dal grande amore per il metal e il progressive rock, siamo in postproduzione con un docufilm dedicato alla scena bolognese, mai così florida e piena di talenti emergenti di alto livello. Da circa dieci anni organizziamo happening e concerti ed è arrivato il momento di condensare tutto il lavoro in un’opera concreta.

Intanto ho terminato di girare ad ottobre 2021 con la collaborazione di Nira Studios, società di produzione bolognese, un documentario diretto da Giuseppe Barile sul Cinema Roma. Un lavoro dal sapore liberatorio dopo il covid, che ha visto il cinema tra i settori più penalizzati dalle restrizioni.

Cosa vedi nel tuo futuro? Ci sarà più cinema o più rock?

Sono in attesa della pensione e, francamente, spero arrivi presto. Vorrei più tempo per dedicarmi alla musica, magari tornando a cantare come facevo tanti anni fa. Nasco come voce dei Rain, storico gruppo metal bolognese, ma ho frequentato anche altri generi. Purtroppo i gruppi suonano dal vivo prevalentemente nel weekend e, stando qui, non posso fare granché in questo senso.

Trovo comunque grandi soddisfazioni anche ad organizzare concerti, dove riesco a scovare dei giovani musicisti con un solare avvenire. È una passione che mi ripaga di un lavoro forse ripetitivo ma che mi ha dato tante opportunità di crescita personale.

L'ingresso del Cinema Arlecchino, foto d'epoca

Note:

Il racconto sulle piccole grandi storie di sale resilienti in Emilia-Romagna è iniziato con l’articolo Gli amici del Vittoria / emiliodoc n.1.

In copertina: La vecchia cabina di proiezione del Cinema Odeon di Bologna. 
Tutte le foto di questo articolo sono state gentilmente fornite da Alessandro “Udo” Ventura.