Container, laboratorio mobile di arte pubblica
Nella Project Room del MAMbo di Bologna è attualmente in corso NO NEON, NO CRY, la mostra dedicata alla Galleria NEON, mitico e indimenticabile spazio libero di ricerca artistica sempre all’avanguardia nel panorama nazionale e internazionale, curato da Gino Gianuizzi. Fondata nel 1981, la NEON ha irradiato fino al 2011 la sua energia dalle quattro sedi che si sono succedute negli anni a Bologna: via Solferino, via Avesella, via dei Bersaglieri, e infine via Zanardi.
Nelle ultime due tappe i suoi percorsi si sono aperti, sempre più intensamente, agli interventi nella città e negli spazi pubblici. E’ lì che è nata la nostra collaborazione, attraverso Roberto Daolio, da sempre mentore della galleria e mio compagno di strada militante nella cura di molti progetti di arte pubblica di cui Bologna è stata pioniera.
Di alcuni di questi, da oggi, accompagnando la mostra sulla storia e il ruolo della galleria, inizierò a raccontare.

Container. Osservatorio/laboratorio mobile di arte pubblica è stato un progetto sperimentale di ricerca e azione, attraverso l’arte contemporanea, con azioni e installazioni nate dall’osservazione attenta del contesto e dalle relazioni con gli abitanti. Ideato e curato da me e da Gino Gianuizzi con la galleria neon>campobase, è stato attivo da novembre 2007 a giugno 2008 come uno dei laboratori del progetto più generale Sposta il tuo centro. San Donato città di città, sostenuto dall’Istituto Gramsci e dall’IBC. Laboratorio “mobile” perché in continuo periodico movimento: nel corso dell’anno si è spostato quattro volte, da via San Donato dove è rimasto due mesi, a piazza Costituzione in occasione di Arte Fiera, al Pilastro di fronte alla Biblioteca Spina, e infine al giardino Lennon-Parker davanti al Centro multiculturale Zonarelli. Mobile, abbiamo detto, anche perché la sua mobilità, il continuo mutare dei punti di vista, ben si addicevano (e sempre si addicono) alla fluidità di una città-cantiere che dovrebbe essere sempre pronta, proprio metodologicamente, a ridefinire, attraverso l’arte, nuovi confini spaziali, antropologici e identitari di un’area urbana, cogliere le mutazioni e agire su di esse.

Attivatore di relazione con la strada e con i suoi pubblici, sollecitazione a una riflessione e a una pratica allargata di osservazione e azione sulla città, esso è stato lo spazio dal quale molti artisti sono partiti per le loro azioni nel quartiere. Uno spazio divenuto “luogo” d’incontro, una sorta di “micropiazza”. Sua caratteristica la trasversalità, il farsi continuo tramite fra gli artisti e le realtà presenti nel quartiere (associazioni, scuole, centri culturali e ricreativi). Uno dei suoi intenti, nel preparare a lungo ogni intervento tessendo relazioni e nella presenza quotidiana nelle diverse aree, è stato il farsi catalizzatore delle energie del territorio, con la tensione costante alla attivazione e alla cura in un dialogo senza confini disciplinari e capace, in questo suo voler essere dispositivo di condivisione, di sperimentare nuove forme di “partecipazione”, parola questa della quale all’epoca non si abusava ancora in modo retoricamente demagogico e strumentale.
Gli artisti coinvolti nel progetto sono stati MP5, Cuoghi Corsello, Cinzia Delnevo, Emilio Fantin, Anna Ferraro, Sabrina Muzi, Chiara Pergola, Adriana Torregrossa, ZimmerFrei, io stessa. I progetti sono stati tutti contestuali alle memorie e ai tratti peculiari urbanistico-antropologico-sociali, multiculturali e multietnici del quartiere San Donato, cercando di coinvolgere le varie comunità e le diverse fasce generazionali.



L’arte pubblica ha cercato di farsi, attraverso molteplici linguaggi, elemento dinamico di progettazione con il pubblico, orientata a una riqualificazione, a un rafforzamento identitario e a una maggiore integrazione multiculturale, in un quartiere, come San Donato, per storia e vocazione, di antiche e nuove immigrazioni e accoglienze.
Molti dei progetti sono stati pensati con l’obiettivo formativo di una relazione creativa e diffusa con la città, cercando di attivare percorsi affettivi, flussi di reciproca comunicazione e di creazione. MP5 insieme al gruppo ToLet – conosciute street artist ed ideatrici in questi anni del festival CHEAP – ha invaso lo spazio esterno del container e le zone limitrofe con i suoi Men at work, sagome di carta di omini al lavoro che si arrampicano dovunque, e ha realizzato una serie di “polaroid a fumetti” dei commercianti e degli artigiani della zona. Cuoghi Corsello, su esplicito desiderio dei gruppi di aggregazione giovanile del Pilastro, hanno realizzato SUF vola, un intervento murale ancora visibile sulle pareti esterne della ASL di via Pirandello. Cinzia Delnevo con Wandering Beauties, bellezze vagabonde, ha incontrato e documentato fotograficamente, nel corso delle differenti fermate del container, i figli dell’unione di due “Bellezze”, di genitori di nazionalità diverse. Anna Ferraro ha realizzato, in contemporanea lavorando al Pilastro e a Pianoro con Cuore di pietra, Segnali di vita, la fantasiosa segnaletica stradale disegnata in collaborazione con i gruppi di aggregazione giovanile “Pilastrini” e Katun, che richiama, oltre che i desideri, anche quei piccoli gesti di “appaesamento” contro lo spaesamento che spesso contraddistingue il rapporto dei cittadini con la città, che vogliono segnare identitariamente gli spazi delle abitudini quotidiane. Questa nuova segnaletica, doppio speculare di quella normalmente in uso, ha segnato ed è tuttora nelle aree verdi e in alcune aree condominiali di via Casini, via Deledda, via Pirandello. Emilio Fantin, con un’attenzione più orientata all’aspetto ludico e di liberazione della creatività, ha ideato il format Performance day con il quale si invitavano gli abitanti a prodursi nell’azione più “acrobatica” di cui fossero capaci, intendendo per “acrobatico” qualunque gesto o abilità.



Sabrina Muzi con Corpi in festa ha realizzato, con abiti e stoffe donati dagli abitanti, un’installazione sugli alberi che, riprendendo rituali e feste in uso in culture antiche e lontane dalla tradizione occidentale, vestiva e “abbracciava” tronchi e rami, prendendosi cura della natura e della loro anima sollecitando un armonico dialogo fra ambiente vegetale e vissuto umano. Chiara Pergola ha indagato il limite sottile del rapporto tra spazio pubblico e spazio privato, disseminando fra via del Lavoro e via San Donato, originario accesso alla città dalla campagna, piccoli soprammobili dono degli abitanti.
Molto forte in tutti era l’obiettivo che questi incontri/scambio avessero a che fare con l’idea dell’offerta e dello scambio di doni e tempo. Monika Stemmer, partendo dall’osservazione e dalla frequentazione diretta del quartiere, nel quale si trovava allora il suo atelier, ha disegnato un suo Omaggio alle signore di San Donato: dei ritratti coloratissimi, dal segno espressionista, che coglievano gesti, abitudini e abbigliamento, e che ingigantiti in sagome di carta a grandezza naturale hanno composto gruppi di figure collocati sui muri di condomini destinati a essere abbattuti: la vecchia sede del Quartiere e le case popolari ex-IACP di via Beroaldo. Adriana Torregrossa con Sai cosa c’è di nuovo? ha trasformato di fermata in fermata il container in una sorta di “video-box-confessionale” sul modello del Grande Fratello, nel quale chiunque in 60 secondi poteva esprimere desideri e paure in rapporto alla città.



ZimmerFrei con il progetto di Anna Rispoli Mio! ha realizzato in un tratto di portico del Liceo Copernico una particolare “luminaria natalizia” con i lampadari domestici delle camere dei ragazzi, dono o gentile prestito di abitanti e negozianti, in dialogo con la luminaria realizzata a Pianoro nello stesso periodo. Io stessa ho realizzato il video Appunti su San Donato. Accompagnando il progetto Container, che è stato, nel corso dell’anno, il fil rouge che ha “cucito” i tanti momenti dell’intero progetto in una sorta di mappatura emotivo-affettiva, di progressivo avvicinamento e scandaglio, fatta di piccoli dettagli, di interni, di strade, del racconto del lavoro degli altri artisti nel suo farsi, dei volti e delle varie voci colte in un’oralità naturale e corale. Utilizzando la videocamera come “pungolo relazionale” il video “in progress”, proiettato all’interno del container quando non vi erano in corso gli altri progetti, è stato un elemento di continua relazione con la strada, fonte di nuove relazioni e nuovi racconti.


Nel corso dell’anno il Container ha costruito una rete di collaborazioni con alcune scuole elementari e medie del quartiere San Donato, con alcune delle associazioni del quartiere e con altre manifestazioni artistiche in città e in provincia: con ON. Luci accese di notte a cura del collettivo di artisti Zimmerfrei; con Cuore di pietra a Pianoro; con Talking about public art in collaborazione con UNDO.net; con Fuori contesto a cura di Daria Filardo, Cecilia Guida e Gino Gianuizzi. Nella primavera 2008 in un laboratorio didattico all’Accademia di Belle Arti di Bologna ha ideato il ciclo “Incontri in Accademia” cui hanno partecipato, fra gli altri, con l’artista Paolo Parisi, gli scrittori Maurizio Matrone e Gianpiero Rigosi che al Container, nella sua postazione al Pilastro, nel piazzale antistante la Biblioteca Spina, hanno poi letto brani dei loro romanzi. Sorta di no man’s land, per sua natura interculturale e pacifico, il container è stato crocevia di gesti e parole in libertà, di rituali quotidiani disegnati da tutti coloro che, bambini, adolescenti, anziani, badanti, uomini e donne, italiani e stranieri, avevano preso l’abitudine di sostarvi. Ipotesi di spazio pubblico un po’ utopico, che per un periodo abbastanza lungo, vincendo ogni presagio nefasto di vandalismi e violenza, è stato invece un laboratorio di educazione permanente per tutti, dagli artisti al pubblico, che con generosità gli hanno dedicato un po’ di tempo per capire e anche per lasciarsi un po’ trasformare. Il container era stato proposto come un progetto itinerante, sempre per lungo periodo, anche per gli altri quartieri di Bologna e in relazione e supporto con i vari altri progetti urbanistico-sociali di volta in volta attivi. Così non è stato, ma questa la sua vocazione, “metodologica”, originaria, questa la sua forza grande.


In copertina: Container, Fermata n. 1, via San Donato
About Author / Mili Romano
Artista e curatrice, si occupa di antropologia urbana, antropologia visuale e di arte negli spazi pubblici.