Protagonist*: il sound design
Le cinque domande parallele della rubrica Protagonist* di questo numero sono riservate al sound design. Rispondono Diego Schiavo e Jan Maio.
Qual è la tua formazione? Da quanto tempo fai questo lavoro? Ci puoi dire qualcosa su come hai iniziato?
Diego: Come tutte le persone che operano in questo settore ho una formazione piuttosto “composita”. Alcune skill riguardano direttamente la mia attuale professione altre – e sono le più preziose, poiché le meno ovvie – sembrano toccarla solo marginalmente, ma tutto concorre. Già alle superiori avevo iniziato ad interessarmi alla computer music e all’elaborazione digitale del suono. Poi ho fatto il DAMS con una tesi su come si genera il “senso” attraverso il sonoro e sulla sua interazione nei linguaggi co-testuali (nell’audiovisivo, nel teatro, nelle installazioni…) Mentre studiavo al DAMS (e contemporaneamente suonavo in un gruppo glam-progressive e facevo il corista in un musical) ho fatto un corso ECIPAR per composizione per la multimedialità, appassionandomi alla post produzione. Di lì a poco ho iniziato a lavorare presso Studio Arkì che mi ha dato la possibilità di entrare in contatto con lavori televisivi, cinematografici, teatrali e di ricerca. Nel 2000 ho avuto l’opportunità di collaborare allo spettacolo/installazione di Peter Greenaway a Bologna (Bologna Towers 2000), curandone il mix e la spazializzazione. Considero quello il mio “battesimo”. Di lì ho sempre lavorato come sound designer. Quindi sono ventidue anni da professionista.
Jan: Ho iniziato con la musica classica, studiando violino al conservatorio all’età di 10 anni. Pur continuando gli studi classici, ho cominciato anche a suonare con varie rock band. Proprio mentre incidevo un disco prodotto da Vox Pop e Manuel Agnelli nel 1995 ho avuto la fortuna di incontrare Federico De Robertis, che mi ha voluto coinvolgere come violinista per il film Nirvana di Gabriele Salvatores. Da quel momento è partita un po’ tutta la mia carriera professionale. Ho continuato a lavorare come colonnista su vari film, mentre parallelamente lavoravo come autore dei grooves originali per la rivista Cubase Magazine, e piano piano mi appassionavo sempre più al Sound Design ed alla postproduzione audio, cercando sempre una via compositiva che riuscisse ad integrarsi con il mondo del disegno sonoro che si stava affermando in Italia.


Dal tuo punto di vista, quali sono i principali punti di forza e di debolezza della produzione audiovisiva nella nostra regione?
Diego: L’artigianalità, in entrambi i casi. Artigianalità è una debolezza quando corrisponde a una mancanza di una solida industria e di una tradizione. Parlo soprattutto della post produzione, che è un settore che conosco meglio. Ci manca una formazione “industrializzata” rispetto al lavoro. Non esistono grosse facilities che convoglino decine di professionisti del settore in un unico polo con ritmi di produzione stretti e serrati. E con questo non do un giudizio di merito, non intendo dire che non abbiamo formazione, anzi, ci sono ottimi professionisti in regione e i risultati ce lo dimostrano, ma manca quel tipo di industria che fa sì che si formi la corporazione dei professionisti e di conseguenza la tradizione del “si fa così, qui tutti fanno così, così è giusto”. Questo ci farebbe sentire all’interno di una rete di professionisti e di farne parte. Ma molte cose stanno cambiando e cambieranno. Il nostro è un settore sempre in movimento e sono certo si adatterà in maniere e forme sorprendenti!
D’altro canto l’artigianalità è la potenza della post produzione in questa regione. Ne sono profondamente convinto. Chiunque faccia suono in regione ha una formazione ibrida, ha lavorato nella musica, nel teatro, in ambito di ricerca e in ambito artistico e in mille altre situazioni. Questo dà ai professionisti uno sguardo ampio e trasversale che inevitabilmente si riversa nel gusto con cui si realizzano i lavori, trovando soluzioni a volte poco ortodosse ma certamente efficaci, originali e innovative. Credo questo sia realmente un asset importante che dona una cura, un aspetto quasi sartoriale della nostra post produzione.
Jan: L’Emilia-Romagna (e Bologna in particolare) mi ha adottato fin dai tempi dell’Università. Proprio per la forte positività ed entusiasmo delle persone e dei progetti ho deciso di farne la mia casa… in particolare negli ultimi anni ho notato una vera esplosione del genere documentaristico, tanto da farne a mio giudizio una vera e propria capitale del documentario d’autore e del cinema del reale.
Purtroppo noto ancora (ecco la nota dolente!) le poche risorse finanziarie a disposizione per certi progetti…non parlo solo di compensi un po più bassi ma di budget esigui che alle volte tagliano risorse fondamentali allo sviluppo di un doc, come ad esempio fonici di presa diretta validi… Inutile a dirsi, il tutto si riflette sul lavoro finale.
Comunque con l’arrivo di molti bandi europei la situazione è notevolmente migliorata.


Lavori prevalentemente con società emiliano-romagnole o anche con società nazionali ed estere? Come cambia il tuo lavoro nei due casi?
Diego: Dipende dalle annate. Ho avuto anni in cui ho lavorato solo con società emiliane e anni in cui ho fatturato solo a realtà internazionali. Ricordo un anno che stavo facendo contemporaneamente una serie tv per il Bahrein, un cortometraggio in coreano (mai più! Non capivo dove finisse una parola e iniziasse l’altra) e uno in inglese. È stato molto divertente e parecchio straniante. Ed ero più fuso del solito! In realtà il metodo di lavoro non cambia molto a seconda delle nazionalità, quanto rispetto al tipo di produzione e al formato, ossia se la lavorazione è cinematografica, televisiva, o di natura installativa. E questi diversi tipi di lavorazione e formati si intrecciano al tipo di produzione che le propone: piccole e indipendenti oppure grosse realtà super burocratizzate e gerarchizzate. La cosa bella del nostro lavoro è che “l’importanza” del lavoro o della produzione non significano granché. E questo, secondo me, è meraviglioso. Puoi conoscere professionisti incredibili in piccole e giovani produzioni indipendenti e puoi trovare caos e disorganizzazione anche in lavori molto grossi. Dai, mettiamola così: è un lavoro ricco di sorprese pur rimanendo seduti all’interno di uno studio!
Jan: Lavoro molto con Bologna ma spesso anche con la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti, e il mio lavoro non cambia molto dato che ormai il lavoro a distanza è una realtà consolidata. Mi piace moltissimo lavorare con gli stranieri perché oltre ad essere molto precisi sia nel lavoro che nei pagamenti, mettono un entusiasmo incredibile anche nelle piccole cose e sono veramente molto aperti a soluzioni in termini di disegno sonoro o composizione anche piuttosto alternative.
L’anno scorso per esempio ho lavorato per il filmato virtuale sulla visita alle catacombe di Parigi commissionato da Paris Musées e prodotta da Découpages. Che dire… in 5 giorni avevamo chiuso il tutto con contratto firmato, pagamento e approvazione del lavoro.
Spesso lavoro anche con musicisti esteri che hanno, ripeto, una preparazione, una cortesia e una modestia spiazzante. Per esempio per il film Valentin di Antonio Martino, la voce della cantante Laura Loriga mi è arrivata da New York, le chitarre di Jon Griffin sono giunte da Newhaven (UK) e il tutto si è fuso qui a Bologna.


Ci puoi fare alcuni esempi di documentari e altri progetti interessanti a cui hai lavorato, sia regionali che non?
Diego: In realtà mi viene molto difficile poiché il criterio con cui accetto o non accetto un lavoro è proprio che mi appassioni. Per cui tendo ad innamorarmi dei progetti, indipendentemente dalle dimensioni e quanto tempo ci lavoro.
Un progetto sicuramente “inusuale” è stato quello de Il contatto di Andrea Dalpian (PopCult) che è un film di formazione che ha come protagonisti due lupi (dal loro arrivo, da cuccioli, nel centro di recupero fauna selvatica di monte Adone fino alla loro “liberazione”) e dove non c’è musica e non ci sono parole, e le poche che ci sono sono incomprensibili poiché tutto il film è l’esperienza sensoriale dal punto di vista dei lupi. Ci siamo divertiti molto a cercare di essere il più rigorosi possibile ma allo stesso tempo di creare un contesto “emotivo” in grado di coinvolgere lo spettatore agganciandolo agli stati d’animo dei lupacchiotti.
Molto particolare è stata anche la sonorizzazione di uno spettacolo in un’arena in Basilicata con la direzione artistica di Emir Kusturica e regia di Lorenzo Miglioli. Un lavoro mastodontico con navi, fuoco, proiezioni su schermi d’acqua… e un suono iper cinematografico pieno di effetti, scoppi, swish e boom, tipologie di suoni che si usano in modo piuttosto limitato nel cinema italiano, quindi quando capitano ci si diverte molto!
Jan: Per esempio l’anno scorso ho lavorato a un documentario su Dante trasmesso da RAI 5 veramente molto appassionante a livello di sound design e mix audio. Ho lavorato per circa due settimane a fianco del regista Adolfo Conti per riuscire a creare un disegno sonoro che sposasse l’effettistica reale (ambienti, animali etc.) e la musica, dato che vi erano situazioni in cui le immagini erano di rara forza. È un piacere lavorare con persone così aperte, preparate e visionarie.
Un altro bel lavoro di qualche anno fa al quale ho avuto la fortuna di lavorare è stato Opera Mundi di Paolo Fiore Angelini, che purtroppo per ora è solo visionabile su Prime Video UK e USA. In quel caso abbiamo ricostruito tutti gli ambienti sonori con moltissime registrazioni fatte in studio da me (foley) utilizzando pentole, plastica, cianfrusaglie, tessuti… un lavoro molto lungo perché il film è di una certa durata, ma divertentissimo! Abbiamo anche lavorato sul vero e proprio sound design facendo suonare oggetti che nella realtà sarebbero stati muti. Molto appassionante.
Quali sono i tuoi progetti attuali e futuri?
Diego: Attualmente sto lavorando a un documentario biografico di Marcella Piccinini, estremamente duro e al contempo poetico, sulla morte della madre in una RSA durante il Covid. Un lavoro in cui abbiamo provato ad associare rigore e sentimento, cercando di modulare un percorso mentale dello spettatore che si trova inserito in una vicenda personale intensa e dolorosissima. Poi un horror molto molto carino prodotto da Almost Famous con la regia di Vincenzo Ricchiuto, poi in arrivo una trasmissione tv, una fiaba sonora e un altro film. Ma dovrò rallentare un po’ il ritmo perché tra estate e autunno dovrò girare parte dei miei prossimi due documentari (da qualche anno ho messo un piede nel lato oscuro della forza e dirigo documentari storici assieme al mio compagno Marco Melluso). Il prossimo lavoro sarà Lucrezia Borgia, con Lucrezia Lante della Rovere, Tullio Solenghi e Tobia de Angelis, e un documentario sui 25 anni del MEI, il Meeting degli Indipendenti a Faenza con Roberta Giallo.
Jan: Proprio in questi giorni ho finito il nuovo documentario di Enza Negroni Dentro la festa e di qui a pochi giorni comincerò a lavorare sul documentario di Liviana Davì I miei sette padri. A luglio inizierò il film di Paolo Fiore Angelini Pasolini: cronaca di un omicidio politico, mentre a settembre inizierò il nuovo film di Antonio Martino (uno tra i miei registi più cari) Askos: il canto nefasto della sirena dove mi occuperò della colonna sonora. In mezzo ci sono altre cose in ballo di cui non posso ancora parlare, ma che mi fanno sperare in una vera rinascita, dopo questi due anni di difficoltà vissuti dal nostro settore a causa della pandemia. La voglia di girare e montare è tanta… e anche di soundisegnare!
In copertina: Diego Schiavo e Jan Maio