Il cinema bicentenario

Quando dalla grande piazza centrale di Forlimpopoli ci si avvicina ai possenti archi che conducono all’interno della rocca, la sensazione di entrare nella Storia è un continuo crescendo. Nella piccola Piazza Fratti, la corte del castello, il Cinema Verdi appare quasi come un antico laboratorio d’arte, solo le locandine de “La fiera delle illusioni” svelano cosa si cela dietro a quelle spesse mura intonacate.
Guido Vitali, gestore unico di questo Teatro-cinema-arena, ci accoglie in un ingresso che fin dai primi istanti sorprende per l’accurata eleganza di ambienti che hanno conservato tutto il fascino del nascente stile Liberty di fine Ottocento. Come in una ricostruzione cinematografica quello stesso stile ci accompagna nella sala dalle pareti tinteggiate in color avorio, le rosse poltrone e le finiture grigio chiaro di stucchi e sottili colonne in ghisa.

Ogni cinema ha una sua storia, ma la storia del Cinema Teatro Verdi si perde quasi nella notte dei tempi…
“In effetti è così” conferma Guido Vitali. “Durante il lockdown mi sono ‘divertito’ a ricostruire il passato del Verdi, dalla sua nascita fino ai primi anni Duemila. La rocca era una struttura già esistente nel Trecento, poi trasformata nel Seicento in residenza signorile.
Nel 1830 si concretizza l’idea di trasformare parte della struttura in Teatro Comunale. Il luogo più indicato era quello che per secoli era stato il salone delle feste e nella quale ci troviamo. In origine il suo allestimento si presentava diversamente. Il palcoscenico occupava buona parte degli spazi, sfruttando molto la profondità scenica. Per ovviare al poco posto rimasto per gli spettatori vennero realizzate le gallerie sospese che corrono ai lati. Di qui sono transitati personaggi che, più che importanti, definirei particolari.
Nel 1851 passò di qui il “Passatore”, il famoso brigante che con un pugno di uomini e una fitta rete di collaboratori mise in scacco lo Stato Pontificio. In quell’occasione sfruttò l’unico accesso alla sala e salì platealmente sul tavolato rapinando uno ad uno tutti gli spettatori. Del suo passaggio vi è una lapide sul lato destro della platea, una sorta di epitaffio, che in origine lo esaltava con parole che inneggiavano alla libertà, ma che poi venne rimaneggiato in senso negativo dai fascisti.


Dopo questo episodio, per motivi di sicurezza, il teatro rimase chiuso per qualche anno. Venne aperto nelle spesse mura quello che è oggi l’ingresso principale, e si aggiunse il doppio ordine di scale per facilitare il flusso degli spettatori. Nel 1882 tornò pienamente in funzione e da allora anche la struttura interna è rimasta sempre la stessa.
Nel 1901, quando morì Giuseppe Verdi, la sala prese il suo nome definitivo. E, a proposito di fascismo, fra le persone che furono chiamate a parlare all’inaugurazione vennero scelti due alunni dell’istituto magistrale, e uno di questi era Benito Mussolini. Nel periodo del ventennio fu posta un’altra lapide a ricordo di questo episodio. Da qui altre leggende che dicono che lui non volle fare il discorso dal palco, ma da uno dei balconi, quasi fosse già un protagonista di piazza. Quello che si sa per certo, invece, è che si prese due denunce, una dal clero e una dalla monarchia per i suoi discorsi un po’ troppo socialisti. Nel ’44 vennero i partigiani a tirare giù la lapide, che per qualche tempo servì da tavolino nella sala di proiezione.”
L’attività teatrale ha conosciuto fasi altalenanti nel corso di tutti questi anni?
“I tempi felici si alternano sempre a periodi bui. Nel 1911 il teatro smise di funzionare e solo nel 1920 si cercò di rilanciarlo come cinema. A quei tempi c’era qualche arena itinerante che si muoveva fra le varie città della Romagna e si credette che un cinema stabile avrebbe avuto un buon successo. In verità le cose andarono piuttosto male i primi anni, fino a quando Nino Bazzoli non decise di prenderlo in gestione. Fortunatamente da allora non ha più chiuso.”


Qui comincia un’altra storia nella storia, quella famigliare di due generazioni di gestori profondamente legati al loro mestiere e a questo cinema.
“Mio padre Giulio non si ricordava nemmeno quando cominciò a frequentare il Verdi. Doveva essere l’inizio degli anni Trenta, quando ancora si smontavano le sedie dall’interno del cinema per trasferirle all’aperto per le proiezioni estive. Lui era un ragazzino e si offriva spesso per dare una mano. A quei tempi le pellicole erano di quelle infiammabili, e una delle sue prime mansioni fu quella di portare l’acqua dalla fontana fino all’arena per riempire i contenitori dell’impianto di raffreddamento. Il gestore lo ricambiava con le visioni gratuite e qualche gassosa. Un po’ per volta entrò in cabina di proiezione e prese lezione da un uomo col volto offeso dalle fiamme, come nel film Nuovo Cinema Paradiso. Ripeteva spesso che quel film era il ‘suo film’, quello della sua vita, e l’unico capace di farlo commuovere fino alle lacrime dalla prima all’ultima battuta.”
Come veniva considerato il cinema allora?
“La gente non amava più di tanto il muto, la sala era spesso semideserta. A fine serata non si riusciva nemmeno a pagare il ‘maestro’ che accompagnava la proiezione col pianoforte.
Il primo sonoro venne proiettato nel ’33, anno di uscita di film come Acciaio e King Kong, ma ancora non fu sufficiente ad attrarre un folto pubblico. Il vero punto di svolta si ebbe con i cinegiornali dell’Istituto Luce, in particolare con quelli che riportavano le notizie della Guerra d’Etiopia. Venivano proiettati prima del film, e tanti venivano per informarsi sulle vicende belliche, alcuni nella speranza di vedere nelle proiezioni i volti di parenti e amici lontani. Fu anche grazie a queste proiezioni che molti cominciarono ad apprezzare il cinema.

Nel dopoguerra mio padre assunse definitivamente il ruolo di proiezionista, anche se già da tempo si occupava praticamente di tutto. Un periodo di grande euforia, di voglia di vivere e dimenticare gli anni bui e dolorosi del ventennio, e certamente un periodo d’oro per le sale. Nel ’54, qui nella rocca, si arrivò addirittura ad aprire una sala B, in quella che è attualmente la Sala del Consiglio Comunale. Fu probabilmente una delle prime multisala a livello regionale, se non addirittura nazionale. Nel ’75 la rocca entrò in ristrutturazione, e la sala B fu dismessa. La profonda crisi economica di quegli anni portò alla chiusura di tutti i cinematografi della provincia, compreso il Verdi. Fortunatamente fu solo per pochi mesi; molti abitanti fecero pressione sul Sindaco e questi convinse mio padre a riaprire.
In quegli anni cominciai anch’io a muovere i primi passi in cabina di proiezione. Così come mio padre aveva preso scuola dai Bazzoli, io la presi da lui. La programmazione delle proiezioni era affidata a me, mentre la stagione teatrale, patrocinata dal Comune, finalmente riprese vita nel 1982.
Mio padre è morto nel 2009. Aveva 88 anni e ancora, dopo averne passati quasi ottanta fra queste mura, veniva qui ‘a fare il cinema’, come diceva lui. La cabina di proiezione era il luogo dove sentiva di dover stare, era la sua vita. Quella sera si stava apprestando a salire al piano superiore per svolgere il suo lavoro, ma il suo cuore si arrestò di colpo. Forse gli sarebbe piaciuto montare ancora la sua ultima pellicola, il cortometraggio Stella di Gabriele Salvatores.”
Girando per i corridoi e su per le scale lo sguardo si ferma sui tanti manifesti di epoche passate. Avete un archivio di questo materiale?
“Purtroppo è rimasto ben poco. Sotto al palcoscenico una volta c’era il locale caldaie, proprio a fianco del magazzino. La caldaia era a carbone e andava accesa con la paglia; in mancanza di questa (e mancava sempre), si usavano i manifesti. Si sono salvati quelli che a lui piacevano maggiormente, come Psycho, o Il buono, il brutto, il cattivo. Non era un grande amante di Totò, ma conservò la locandina di Totò al giro d’Italia, semplicemente perché era un ‘coppiano’. Per una forma di antipatia bruciò tutte quelle di Marylin Monroe, che oggi varrebbero una fortuna; in compenso salvò quelle della sua amata Claudette Colbert, protagonista di grandi film come Accadde una notte e Cleopatra, ma di gran lunga meno conosciuta. Anche questa è storia.”

Fin dagli anni Settanta però è lei a curare la programmazione.
“Inizialmente andavo in giro ad informarmi, inseguendo stili e argomenti che più mi colpivano. Purtroppo c’è da dire che scegliere titoli sulla base dei propri gusti personali non sempre paga. Me ne resi conto già nel ’76 quando uscì Per amore di Cesarina con Walter Chiari e Cinzia Monreale; una commediola all’italiana di poco conto che non avrei mai programmato se non fosse stato che venne ‘furbescamente’ girata in varie cittadine della Romagna, fra le quali la nostra. Il risultato fu che in tutte queste località ebbe un gran successo garantendo al film un buon incasso. Quello che accadeva, in genere, è che per avere un film di un certo valore ti ritrovavi a sottoscrivere un particolare contratto, chiamato ‘la coda’; per cui per avere il film buono, te ne venivano rifilati altri di qualità ben più scadente e che spesso nemmeno proiettavi.”
Così, un po’ per volta, arriviamo ai giorni nostri…
“Un altro periodo di crisi, dunque. Mi fa tornare in mente quando si introdusse il divieto di fumare nei cinema. Fu un’ecatombe. Ci furono moltissimi spettatori che smisero per sempre di venire, non tanto perché non potevano fumare per due ore di fila, ma perché si sentivano limitati nelle loro libertà. Oggi le ragioni sono anche altre. Ad esempio, sta emergendo sempre più il problema della programmazione, che incontra ancora dei grossi limiti legati all’offerta. Si è costretti a dare alcuni film mentre altri, molto validi, sono disponibili solo sulle piattaforme.
Sulla qualità, che dire, se un film come Spiderman è in cima alla lista degli incassi mondiali, e fra i primi di tutti i tempi, qualcosa deve pur significare. E adesso ci aspetta pure il remake di Altrimenti ci arrabbiamo…. Ritengo che la sala sia ancora la vera cartina di tornasole di quanto gli spettatori ‘vogliono’ vedere, piuttosto che di ciò che ‘devono’ vedere per mancanza di una vera, libera scelta. Per paradosso, non dico l’essai, ma nemmeno il cine-panettone troverebbe spazio in un contesto diverso dal nostro. La TV forse? Ma rimaniamo sempre lì, rinchiusi fra quattro mura, a pagare il prezzo attraverso abbonamenti o pubblicità martellanti.
Qui da noi cerchiamo ancora di offrire qualcosa nell’ambito del cinema d’essai, proponendo qualche titolo del Cinema Ritrovato della Cineteca di Bologna. Per la documentaristica, più che sulle variegate proposte di Docintour, puntiamo su filmati legati al nostro territorio, o sulle produzioni di registi locali, come ad esempio il forlivese Alessandro Quadretti. Abbiamo anche in programmazione l’ultimo documentario di Don Pasta, ispirato alla figura del nostro illustre concittadino Pellegrino Artusi e che probabilmente verrà presentato intorno ad aprile. Più che di campanilismo si dovrebbe parlare di amore per la propria terra. Quando vennero riproposti film come Amarcord e Novecento, film stravisti dai più, non furono sufficienti proiezioni uniche. Anche col film Est- Dittatura Last Minute, in parte ambientato a Cesenatico, le cose andarono piuttosto bene.”
C’è anche un problema legato al cambio generazionale nella conduzione di molti cinema indipendenti come il Verdi.
“Tenere un posto come questo è spesso una rimessa. Guadagnare poco e lavorare quasi tutti i giorni, festivi inclusi, non è faccenda di questi tempi. Le vocazioni decisamente mancano e con esse le nuove idee. Anche all’ultimo bando per il rinnovo settennale della gestione l’unico ad essersi presentato sono stato ancora una volta io. Un po’ come mio padre resisterò finché potrò. Bisognerebbe fare appello anche ai genitori per tenere vivo il pubblico del futuro. La passione nasce nella sala, piccola o grande che sia. È da bambini che si sviluppano gli interessi, come fu per mio padre e per me dopo di lui. Se tutto questo si dovesse fermare, anche il cinema, oltre a queste mura, passerebbe alla storia, e sarebbe davvero una grave perdita per tutti.”

Riferimenti:
Note:
Il racconto sulle piccole grandi storie di sale resilienti in Emilia-Romagna è iniziato con l’articolo Gli amici del Vittoria / emiliodoc n.1.
In copertina: La bacheca del Cinema Teatro Verdi a Forlimpopoli.
About Author / Claudio Tamburini
Scrittore, disegnatore, amante delle buone compagnie. Collabora con l'Associazione Amici del Vittoria.