I fantasmi di Casa Borelli
Ci si passa dinnanzi per salire al Santuario di San Luca o per andare allo stadio che si trova a pochi passi da lì e che a Bologna è davvero poco distante dal centro storico della città.
Si trova lungo via Saragozza, quasi all’angolo con l’arco del Meloncello dove inizia il lungo e suggestivo portico che sale fino al santuario. Una meta obbligata per turisti e cittadini che affidano a quel breve pellegrinaggio desideri e speranze. Per i bolognesi c’è sempre un buon motivo per andare a piedi fino a San Luca.
Pochi metri prima di intraprendere la salita, sulla sinistra c’è una villa dal fascino discreto, avvolta da una fitta vegetazione che la nasconde ai passanti e ai più curiosi. E’ Casa Lyda Borelli. Porta il nome della più acclamata attrice del cinema muto italiano ed è la prima e unica casa di riposo per artisti drammatici, come recita la targa che si trova all’ingresso. Questo luogo, di cui persino i bolognesi più anziani conoscono pochissimo, ha sempre destato la mia curiosità…
Dopo l’uscita di Caro Lucio ti scrivo, il nostro film dedicato alla memoria del cantautore bolognese, sentivo l’esigenza di trovare un’idea per realizzare un lavoro più semplice, più intimo, in cui potermi esprimere più liberamente, senza compromessi e intercessioni dall’esterno.

La mia amica scrittrice Grazia Verasani mi consigliò di visitare quel luogo dove era stata molti anni prima a compiere alcune ricerche per un libro che poi non realizzò. Feci una breve analisi e scoprii che sulla storia di quel particolarissimo ricovero c’era poco materiale e che non erano stati fatti altri documentari, per quanto qualcuno ci avesse provato. Mi feci pertanto l’idea che sarebbe stata un’impresa difficile.
In effetti la struttura è oggi una casa di riposo a tutti gli effetti, un luogo protetto, in cui non è semplice introdurre telecamere, fare riprese e muoversi con una certa libertà. Presi appuntamento con l’archivista e bibliotecario di Casa Borelli (sì, la struttura ha anche una fornitissima biblioteca teatrale e custodisce foto, copioni, locandine, memorabilia, per lo più donazioni di attori che hanno vissuto gli ultimi anni delle loro vita in quel luogo).
Varcare l’ingresso del cortile fu entusiasmante, fu come entrare in un giardino segreto. Lungo il sentiero che porta all’ingresso della villa le statue di grandissimi attori mi scrutavano: c’erano i busti di Alfredo Testoni, Ruggero Ruggeri, Eleonora Duse, Ermete Novelli ed Ermete Zacconi. Nell’atrio della villa in stile déco di nuovo la Duse ad aspettarmi, con un bellissimo busto in marmo bianco, e Alberto Beltramo, l’archivista della struttura, che subito intuii potesse essere un buon alleato per la realizzazione del progetto.


Il piano terra della villa conserva ancora tutte le atmosfere del tempo. Saloni con pianoforti a coda, mobili antichi, ritratti, vetrinette con toilette di attrici dei primi del ‘900, vecchi costumi, centinaia di fotografie e i mitici bauli con cui viaggiavano gli attori, portando con sé oltre ai propri pochi stracci, anche i costumi di scena che un tempo erano di proprietà degli attori stessi e più se ne possedevano più si aveva la possibilità di essere scritturati in compagnie di giro importanti. Alberto, come poi avrebbe fatto nel documentario, mi raccontò tantissime storie e aneddoti.
I primi due piani della villa vennero inaugurati nell’ottobre 1931. In quegli anni gli attori conducevano una vita estremamente faticosa, più simile a quella dei circensi che a quella dei teatranti di oggi. Vagavano da una città all’altra con mezzi di fortuna e in ogni teatro mettevano in scena un repertorio vastissimo, uno spettacolo diverso ogni sera, preparato molto in fretta e attingendo a quei costumi che ognuno aveva nei propri bauli.
Si lavorava sempre, anche durante la malattia, le retribuzioni erano modeste, gli alloggi di fortuna. La vita si consumava così, di città in città, da un palcoscenico all’altro nell’assoluta precarietà. Quando la vecchiaia li sorprendeva e non potevano più recitare, gli attori non avevano una pensione, il più delle volte non avevano soldi da parte, non avevano una casa di proprietà (non serviva in quel loro eterno vagare) e spesso non si erano costruiti nemmeno una famiglia.
Morivano soli e in assoluta povertà.

Un impresario teatrale, Adolfo Re Riccardi, ebbe l’intuizione di realizzare la prima casa di riposo per attori su un terreno donato dal Comune di Bologna. L’edificio fu realizzato grazie alle donazioni dei principali rappresentanti del mondo dello spettacolo, della cultura e della politica italiana dell’epoca. Grandi interpreti come Paola Borboni, Ruggero Ruggeri, Virginia Reiter, Dina Galli, Antonio Gandusio, Gilberto Govi, Wanda Capodaglio, Dario Niccodemi, Ettore Petrolini, Ermete Zacconi contribuirono alla realizzazione e al mantenimento della bellissima struttura.
Ho chiesto ad Alberto come mai non fossero stati realizzati altri film su Casa Borelli… Mi sembrava impossibile che altri registi non fossero stati affascinati da quel luogo e non avessero colto l’idea di raccontarlo in un film. Mi spiegò che diversi autori ci avevano provato, ma che si erano concentrati solo sull’idea di intervistare gli ospiti della Villa. Oggi la struttura non raccoglie più solo attori, poiché il mestiere e la vita degli artisti è andata profondamente modificandosi nel tempo. L’età degli ospiti si è alzata rispetto al passato e la visione degli anziani nei saloni è per lo più quella di persone stanche e affaticate che il personale della casa vuole proteggere e tutelare.
Gli attori rimasti preferiscono essere ricordati com’erano un tempo, sulle scene, e vivono gli ultimi anni della propria vita in grande riservatezza.


Sono uscito da Casa Borelli perplesso, probabilmente come i registi che mi avevano preceduto. Però già sapevo che la parte migliore di questa storia non era nell’oggi, che non poteva avere testimoni diretti, che mi sarebbe piaciuto raccontare di questa struttura per riflettere sul lavoro degli attori, su come sia cambiato e su quanto sia rimasto incerto, precario, aggrappato alle passioni e alla vocazione di chi lo affronta.
Non credo ai fantasmi, non ne ho mai incontrati, ma ho pensato che se ci fosse stato un posto infestato dagli spiriti dovesse essere Casa Lyda Borelli. Quanti attori erano morti in quella casa? Dov’era finito il loro carisma, quell’energia che esibivano sul palcoscenico, il talento, la forza, la grinta che si deve possedere per calcare le scene? Dovevano ancora essere tutti lì e io avrei raccontato le loro storie, quel loro vagare, quelle vite precedenti e antiche che tanto mi interessavano.
Con l’aiuto di Alberto Beltramo ho recuperato storie, biografie, documenti e aneddoti di attori che avevano vissuto in quel luogo. La casa è una miniera di reperti… Li ho selezionati e poi ho contattato Grazia Verasani per chiederle se avesse voglia di scrivere la sceneggiatura di alcune scene tratte da questi pezzi di vita recuperati. Ha accettato di buon grado. Avremmo messo in scena quello che non si poteva più vedere, la vita della casa attraverso i suoi fantasmi.

Poi ho iniziato a registrare una serie di interviste a storici del teatro, attori, registi ed artisti che mi aiutassero a riflettere sul mestiere dell’attore, sulla terza età, sulla storia della professione. Sono interviste girate spesso in bellissimi teatri, nelle pause dei loro spettacoli o prima della rappresentazione.
Non tutti gli artisti che ho interpellato hanno accettato di partecipare. Alcuni non volevano essere associati a un progetto che parlasse di terza età e di una casa di riposo. Però le testimonianze di Gabriele Lavia (che ha un po’ l’allure di quella generazione di attori descritti nel film), di Tullio Solenghi (che a Villa Borelli andava a trovare alcuni suoi anziani colleghi), di Milena Vukotic, Giuliana Lojodice, Pino Strabioli, Pupi Avati, Glauco Mauri hanno impreziosito il film e creato la struttura su cui andare a inserire le scene di fiction che avevamo ipotizzato. Molto prezioso è stato l’intervento di Laura Maiani, docente del DAMS che insieme alla professoressa Giovanelli ha contribuito a delineare il contesto teatrale e storico che abbiamo raccontato.

E infine ci siamo messi al lavoro sulla parte di fiction. Attori straordinari, che hanno lasciato un segno importante nel teatro di ricerca italiano hanno deciso di prendere parte al progetto. Umberto Bortolani, Elena Bucci e Marco Sgrosso, Alessandra Frabetti, Francesca Mazza, Stefano Randisi ed Enzo Vetrano hanno interpretato i nostri “amati fantasmi”. A loro si sono unite la mitica Lucia Poli e l’intensissima Giulia Lazzarini che dà voce alla casa.
Ci siamo immaginati che tutti questi ospiti illustri della Borelli fossero ancora qui, che vagassero per le sale del loro ultimo domicilio terreno “bisbigliando lungo i corridoi, salmodiando un sonetto di Shakespeare, giocando con abiti di scena lisi e consumati, ripetendo la parte e chinandosi per gli applausi di un pubblico immaginario”.
Per la fotografia mi sono affidato a Mirco Sgarzi, chiedendo di ricreare le atmosfere notturne di un film gotico di fantasmi.
Il film è girato quasi interamente di notte, proprio negli antichi saloni di Casa Lyda Borelli. Aspettavamo che i veri ospiti del ricovero andassero a dormire e poi subentravamo noi con una troupe di trenta persone per rievocare le storie e i personaggi che si erano mossi in questi luoghi. Alle prime luci dell’alba dovevamo andarcene perché i veri ospiti sarebbero, di lì a poco, scesi per fare colazione.
È stata un’esperienza faticosa, surreale, ma assolutamente incredibile.

Il completamento della post-produzione ha coinciso con la pandemia. Il film era terminato ma non poteva avere una platea. Siamo rimasti bloccati per moltissimo tempo.
La scarsa attenzione riservata dalle istituzioni al mondo dell’arte e agli artisti in quei mesi difficili, mi ha fatto pensare che il nostro lavoro fosse attualissimo. Gli attori, ma in generale i lavoratori dello spettacolo, continuano a vivere nella precarietà e spesso nel disinteresse delle istituzioni. Le nostre professioni sono considerate superflue, non fondamentali, eppure è proprio all’arte che ci si aggrappa per superare i momenti difficili e per analizzare la propria quotidianità.
Amati fantasmi aiuta a riflettere anche su questo. Parla di un luogo speciale, pensato per accogliere dei lavoratori speciali, racconta la complessità di un mestiere che agli occhi del pubblico appare idilliaco, ma che invece risponde da sempre a regole precise, a una richiesta di sacrifici e rinunce e a una volontà di ferro. Riflette sul valore della terza età e su come “l’Arte sia la bellezza che resta anche dopo di noi”.

Riferimenti:
Trasmesso da Rai 5, “Amati Fantasmi” è disponibile in streaming gratuito su RaiPlay per tutti coloro che vogliono conoscere Casa Borelli e i suoi fantasmi del passato.
Tutte le immagini a corredo dell’articolo sono tratte dalle lavorazioni di Amati fantasmi di Riccardo Marchesini.
About Author / Riccardo Marchesini
Autore e regista, si divide fra cinema, teatro e televisione con una particolare passione per il documentario. Ha collaborato, fra gli altri, con Sergio Citti e Pupi Avati.