Cinema Fulgor, il tempio felliniano

La Romagna della Riviera è questa. Anche nel pieno dell’inverno bastano alcuni raggi di sole e subito si risveglia, esce di casa, si anima di voci e di iniziative. Sul bimillenario ponte Tiberio vi è un continuo fluire di persone dirette al cuore pulsante di Rimini. Ed è proprio a due passi dal centro, al numero 162 di Corso d’Augusto, che si trova forse il cinema più conosciuto al mondo.
Dal 1920 il Cinema Fulgor è situato all’interno di un’elegante quanto sobrio palazzo in stile liberty. Una data che non sembra affatto casuale, trattandosi dello stesso anno di nascita di Federico Fellini.
Ci accoglie Elena Zanni, che gestisce il Fulgor assieme a molti altri collaboratori. Donna energica, dalla parlantina sciolta e carica d’entusiasmo, subito ci inebria di storie e aneddoti legati al grande regista. È fra queste mura che Federico (lo si chiama quasi sempre per nome) vide il suo primo film, Maciste all’inferno, seduto sulle ginocchia del padre.

Entrare nel Fulgor odierno non è respirare l’aria di Amarcord. I veri ricordi di gioventù del regista si spingono oltre ogni odierna immaginazione. “Sotto lo schermo” così raccontava Fellini, “c’erano le pancacce. Poi uno steccato come nelle stalle, divideva i popolari dai distinti. Noi pagavamo undici soldi, dietro si pagava una lira e dieci.”
“Come potete ben immaginare” ci spiega Elena introducendoci nel foyer, “in cent’anni di vita questo cinema ha subito innumerevoli trasformazioni adattandosi agli stili e alle esigenze di ogni epoca. L’ultimo grande sviluppo si è visto alcuni anni fa, con l’annessione di una sala più piccola e sobria, la “Giulietta”, affiancata a quella originale e più ampia intitolata “Federico”. In quel periodo si decise per un cambio sostanziale degli interni, andando in totale controtendenza rispetto ai modelli iper-modernisti degli attuali multisala. Era necessario ripensare l’intero arredo rivisitando il vissuto di Fellini; in particolare quell’imprinting hollywoodiano degli anni Trenta e Quaranta che hanno lasciato non poca traccia nel suo immaginario di uomo e regista.
Bisogna pensare che a quei tempi, nei quali buona grazia se c’era una una radio in casa, il cinema era una vera e propria finestra sul mondo, di grande impatto emotivo e culturale. Il ragazzo che in questi ambienti disegnava locandine per comprarsi i biglietti per sé e i suoi amici non ha mai potuto dimenticare questo posto, così come la sua terra, o la casa dei nonni a Gambellara, nemmeno dopo il suo definitivo trasferimento nella capitale. Questo legame lo si ritrova in molte sue produzioni: primo fra tutti Amarcord, ma in forma diretta ed indiretta anche in film come I vitelloni, 8 e ½, Roma, La voce della luna…
Nel progetto del Maestro Dante Ferretti, realizzato dallo studio Forme di Roma, si ritrova in pieno l’impressione di entrare in una vera scenografia cinematografica d’epoca. Sono stati mesi di lavoro intenso per restituire al pubblico il cinema il 20 gennaio del 2018, in occasione di quello che sarebbe stato il novantottesimo compleanno del regista.
Noi riceviamo su appuntamento visitatori provenienti da più parti del mondo, organizziamo visite guidate, e l’impatto emotivo di questa nuova veste scenica, dai colori tipici dei grandi colossal, è sempre molto alto. I più grandi appassionati sono gli americani, che forse conoscono Fellini più di quanto non lo conoscano la maggior parte degli italiani. A lui hanno dedicato innumerevoli premi, fra cui l’Oscar, che qui non ci siamo nemmeno sognati. Ebbene, a volte capita che vengano qui per vedere un suo film, e non importa se non è nemmeno sottotitolato, l’importante per loro è sentirsi immersi in un vero pezzo di Storia, in quello che era il suo cinema.”


A proposito di Storia, questa volta molto più recente, ad appena due anni dall’inaugurazione anche voi avete dovuto chiudere con il primo lockdown, come avete reagito?
“In un secolo di vita il Fulgor non ha mai chiuso i battenti, nemmeno sotto i bombardamenti del ’44. La chiusura causa Covid è un paradosso dovuto ad un comprensibile stato di emergenza, che però non ci ha trovati inattivi. Il nostro cinema era già collegato ad un altro di Rimini, il Settebello, e proprio nel periodo in cui molte sale chiudevano definitivamente i battenti abbiamo deciso di far crescere la famiglia riaprendo lo storico Politeama di Fano. È anche un modo per poter gestire e programmare meglio l’offerta in un mondo in cui l’unione di più elementi ne aumenta la forza.”
Osservando le locandine esposte si può notare che lavorate su diversi piani di programmazione.
“La dimensione storica di questo cinema e la qualità del suo pubblico ci ha portato ad essere molto attivi nell’organizzazione di rassegne, monografie d’autore, o di genere, e retrospettive che si spingono fino alle origini della cinematografia.”
Eppure, non vi limitate solo a questo.
“Il Fulgor a suo tempo nacque esclusivamente come cinema, e come tale abbiamo voluto che rimanesse. Il suo palco è sempre stato piccolo, perciò si può dire che non è mai stato teatro. Ciò non toglie che vi è abbastanza spazio per ospitare iniziative di vario genere: dibattiti, convention, anche a livello internazionale, e rappresentazioni teatrali per lo più in forma di monologhi. Spesso alcune proiezioni vengono precedute da introduzioni musicali dal vivo; ad esempio, a giorni presenteremo il documentario di Martone anticipato da un trio in concerto. Fra le varie, è diventata ormai una pietra miliare l’iniziativa portata avanti da alcuni ragazzi, soprattutto universitari, che periodicamente si cimentano in una gara di lettura dal vivo di poesie proprie o d’autore. Non ci crederete, ma la sala Giulietta è quasi sempre stipata di persone ben al di sotto dei cinquant’anni. Quello che a noi preme maggiormente è il valore aggiunto che tutte queste iniziative possono dare al cinema in quanto veicolo di cultura. Che si tratti di letteratura, musica, fotografia, arte, didattica per le scuole, l’importante è che la tematica di base non esuli troppo dal discorso cinema in quanto tale.
Un’iniziativa molto simpatica e che sta avendo un buon successo è “Colazione e film” della domenica mattina. Anche qui vengono riproposti film di ogni epoca come ad esempio è stato con Arsenico e vecchi merletti del 1944, Carol del 2015, passando da Il laureato del 1967. Molte persone, soprattutto i giovani, che anche qui non mancano, non hanno mai visto questi film, men che meno sul grande schermo. Per altri può essere una piacevole rivisitazione, anche a distanza di molti anni, dalla loro prima visione. In questo genere di iniziative è importante che non passi il concetto che un film non vale una colazione (o come avviene in altri ambiti un aperitivo). Il biglietto per il film lo paghi per intero, perché quello è il suo prezzo, e la colazione te la offriamo noi, come un gesto di simpatia.
Purtroppo, soprattutto qui da noi, il senso comune del costo/valore della cultura ha raggiunto “mentalmente” livelli bassissimi. In Italia i biglietti del cinema vengono venduti ad un prezzo molto contenuto rispetto a qualsiasi altro paese europeo. Eppure vengono ancora considerati cari. C’è davvero da domandarsi perché, nella mente di molti, otto ero siano corretti per uno spritz, mentre per un libro, una rappresentazione teatrale, o un film al cinema no. La produzione, distribuzione e vendita di qualsiasi opera richiede dei costi considerevolmente superiori a quelli richiesti per “sbicchierare” un cocktail arancione che per giunta, al contrario della cultura, non fa neppure bene.
Certo, attraverso le piattaforme i film te li puoi guardare comodamente a casa, ma se è per questo anche per farti l’aperitivo non devi per forza andare al bar. Quando ti dicono ti porto il cinema a casa tua… la risposta è NO! Al massimo a casa tua ti portano il film. Il cinema è un’altra cosa. Il cinema è questo! Un film come Le otto montagne come te lo guardi a casa? In piccolo, distraendoti, o facendoti distrarre? Uscire di casa per andare al cinema è un rito che conduce verso una disposizione d’animo ineguagliabile.
A volte ci capita di proporre a dei ragazzi, per lo più giovanissimi, un esperimento tanto interessante quanto efficace. Diciamo loro di guardarsi su cellulari, o su tablet, un opera cinematografica (da grande schermo, per intenderci). Successivamente, la stessa opera la vengono a vedere qui in sala. Al di là della perplessità di rivedersi lo stesso film in uno stretto giro di tempo, la reazione al grande schermo è sorprendente. Nel 99% dei casi i ragazzi escono dicendo di aver capito un’altra cosa, per non dire che hanno letteralmente visto un altro film.”



È la stessa differenza che passa fra il pensiero distratto e la meditazione.
“Esattamente. Non è tanto una questione di dimensioni, o di poltrone comode. A fare la grande differenza è l’esserci senza distrazioni, totalmente immersi in una dimensione alla quale non siamo più abituati.”
Fino ad ora abbiamo parlato di cinema in termini di film. Che spazio viene dato al genere documentario?
“Il tema dei documentari è fra i più ostici da affrontare. Cerchiamo di darli, ma anche qui c’è un problema di distribuzione, che per lo più scarseggia. Mese per mese cerchiamo sempre di create un fil rouge fra varie opere che affrontino tematiche, periodi storici o stili cinematografici similari. In questi programmi trovano posto anche i documentari, soprattutto nella loro veste più moderna. Inizialmente si era passati, con diversi dubbi sulla qualità di diversi filmati, attraverso una sequela di cicli di documentari passati come film sull’arte, per i quali il valore aggiunto era dato prevalentemente dalla presenza di un esperto in sala. Oggi possiamo proporre qualcosa di nuovo, di più appetibile per un pubblico che ancora considera questo genere come qualcosa che si può vedere tranquillamente a casa. Ciò non toglie che opere di qualità come Laggiù qualcuno mi ama, dedicato a Massimo Troisi, vengano proposti come se fossero film, ma di fatto non sono tali. Per non parlare di Ennio, dedicato al grande Morricone. Abbiamo visto persone pagare sei volte il biglietto e ancora non erano stanchi di vederlo.
I produttori indipendenti non hanno l’abitudine di contattarci, e chi lo fa spesso non propone lavori coniugabili alle tematiche che stiamo affrontando in quel periodo.
Come per ogni altro filmato anche i documentari sono sempre preceduti da un commento in sala, e spesso anche da un concerto. Per il documentario su John Belushi abbiamo fatto qualcosa di più. Dopo aver fatto una certa fatica a procurarcelo direttamente sul mercato americano, ci siamo occupati personalmente di sottotitolarlo e lo abbiamo fatto precedere da un concerto blues.”

Come spesso accade durante le interviste il tempo vola. Cominciano i preparativi per l’apertura, e soprattutto i grandi “aficionados” sono già pronti davanti alle porte d’ingresso. L’occasione merita un secondo giro per ammirare ancora le opere degli ebanisti, le modanature e i decori dorati in stile liberty su fondali rossi e le grandi vetrate retroilluminate.
Lungo Corso d’Augusto il via vai si è fatto decisamente più rado. Si può così immaginare il Fulgor nel cuore della notte riminese, i tre lampioncini accesi sulla facciata, ed una sagoma scura, tarchiata, sormontata da un cappello a falde larghe. Quel Fellini poco conosciuto, notturno e schivo, intento ad osservare, con una certa soddisfazione, le nuove forme del “suo” cinema.

Riferimenti:
Vedi anche:
Note:
Il racconto sulle piccole grandi storie di sale resilienti in Emilia-Romagna è iniziato con l’articolo Gli amici del Vittoria / emiliodoc n.1.
About Author / Claudio Tamburini
Scrittore, disegnatore, amante delle buone compagnie. Collabora con l'Associazione Amici del Vittoria.