Cristina Berti Ceroni

Per ricordare Vittorio Boarini, primo direttore della Cineteca di Bologna, intellettuale visionario, progettista culturale, uomo volitivo e generoso, abbiamo chiesto a Cristina Berti Ceroni, che è stata la sua compagna per gli ultimi dieci anni della sua vita, di tracciarne un ritratto personale. Per scoprire il carattere e gli aspetti meno conosciuti di un uomo che ha rivoluzionato profondamente il panorama culturale di Bologna (e non solo).

Ho conosciuto Vittorio negli ultimi 10 anni della sua vita, quindi in un’età già abbastanza matura. Per sua fortuna l’età non gli ha dato gravi problemi, ha avuto una vecchiaia molto energica, molto attiva, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista mentale, della sua creatività. Diciamo che l’immagine più forte che Vittorio mi ha lasciato è quella della sua vitalità, della sua voglia di vivere, di fare, di creare delle cose, perché piacevano a lui ma perché sapeva che potevano essere utili anche per gli altri. Soprattutto il fare per stare in mezzo alla gente. Lui non concepiva più di tanto un lavoro solitario, anche se era capacissimo di stare ore e ore a lavorare, a scrivere testi, a pensare. Però poi lo scopo era sempre quello di portare all’esterno, di discutere, parlare, scambiare idee. In questo era veramente eccezionale. Un uomo che è riuscito a mettere in pratica la maggior parte dei suoi progetti.

Promozione dell'evento "Se finisce la rivoluzione" in ricordo di Vittorio Boarini, Bologna 11-12 novembre 2022
Era laureato in Scienze Politiche?

Sì, e la sua attività di politica culturale è stata tutta la sua vita. Si inventava cose che immediatamente suscitavano interesse. E lo ha fatto anche dopo la pensione, quando per 4/5 anni ha organizzato delle rassegne di cinema e arte presso la Galleria de’ Foscherari, una galleria d’avanguardia, molto importante per Bologna, dove lui ha organizzato, con la collaborazione della Cineteca, una serie di incontri sul cinema d’arte: film surrealisti, film dadaisti, addirittura due anni di rassegna internazionale di video d’arte. Presentava e spiegava questi materiali, e il pubblico era affascinato, soprattutto i giovani che venivano proprio per ascoltarlo.

Quindi era un uomo molto sicuro di sé?

Aveva molta fiducia in se stesso, probabilmente già da ragazzo. Vi racconto una storia significativa: siamo negli anni Cinquanta, Vittorio aveva poco più di vent’anni, e lavorava come dirigente del Circolo di Cultura di Bologna. Questo circolo era una creazione degli ambienti di sinistra, nato sul modello della Casa della Cultura di Milano, diretta allora da Rossana Rossanda. A Bologna il circolo aveva sede in via Rizzoli, era un bell’ambiente, dotato di bar, sale e saloni. Vittorio lo dirigeva con grande libertà e spirito di iniziativa, riuscendo ad invitare figure importantissime a presentare i loro lavori: da Pasolini a tutti i personaggi di maggiore lustro dell’epoca, poeti arabi, personaggi di cultura da tutto il mondo. Io mi chiedo: ma come faceva questo ragazzino di vent’anni, da poco laureato, a fare una cosa del genere? Lui tirava su il telefono e diceva: “Sono Boarini del Circolo di Cultura di Bologna. Volete venire a fare una serata?”. In questo modo è riuscito a far fare delle esperienze incredibili a tutti i giovani che frequentavano il circolo, che hanno potuto dialogare vis-à-vis con intellettuali di grosso calibro.

Reading di Angela Malfitano nel corso dell'evento "Se finisce la rivoluzione"
Da dove nasceva la sua passione per il cinema?

Certamente lui aveva una predisposizione in questo senso. Aveva molto amato il cinema perché aveva vissuto il periodo del dopoguerra. Dopo anni di sofferenza, appena finita la guerra si sono riaperti i cinema e tutte le sere si poteva uscire! Non pareva vero (allora non c’era la televisione)… Quindi già da bambino, accompagnato dal padre e dai nonni, andava al cinema tutte le sere, al Rialto o al Roma, che erano le due sale vicino a casa loro. Lì ha visto tutti i film americani che arrivavano in quel periodo, lì ha cominciato a crearsi una cultura cinematografica.

E i suoi rapporti con il partito comunista?

Nel libro “Il processo di via Barberia” di Domenico Del Prete c’è un capitolo dedicato a Vittorio, in cui si racconta un episodio di stalinismo a Bologna. Vittorio, che era iscritto al Partito Comunista, a un certo punto fu accusato di frazionismo, cioè di essere troppo maoista. Pare che ci fosse stata una “spiata”, qualcuno che in trattoria aveva ascoltato una conversazione sull’esperienza maoista cinese.
Fu accusato di essere pericoloso, e fu espulso dal Partito insieme ad altri. Fu anche degradato nel suo lavoro, perché non poteva continuare ad assolvere le funzioni importanti che svolgeva all’interno dell’Assessorato alla Cultura. Ma Vittorio ci rideva sopra, perché in un certo senso quella fu la sua fortuna. Lo misero a lavorare come bibliotecario in uno sgabuzzino buio, alla Biblioteca Popolare, che allora era in un vicolo laterale di Piazza Maggiore. E lui cominciò a dire: qui mancano dei libri sul cinema, bisogna comprarli. Così creò la Sezione Cinema nella biblioteca, e da lì prese il volo. Dopo un paio d’anni fu “riabilitato” e reintegrato completamente nei ranghi. Era passato del tempo, era arrivato Zangheri, che era un personaggio molto illuminato. Ma Vittorio non si iscrisse mai più al partito…

Mostra fotografica all'interno dell'evento "Se finisce la rivoluzione"
Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna (a destra) durante l'evento "Se finisce la rivoluzione"
E in quel periodo nacque la Cineteca?

Con Zangheri nei primi anni ’60 prese il via l’esperienza della Commissione Cinema che si occupava di portare film importanti a Bologna nei cinema d’essai. Da lì via via è nato il progetto della Cineteca, che Vittorio è riuscito a portare avanti, e che ha seguito per quasi trent’anni. Pensa che era diventato direttore della Cineteca partecipando a un concorso, ma il bello era che lui era l’unico partecipante! Non c’erano altri che volessero quel posto… però gli hanno fatto lo stesso un esame con tutti i crismi.
La Cineteca era la sua vita… aveva anche i suoi affetti e la sua famiglia, ma la Cineteca aveva un ruolo centrale nella sua vita. Era un lavoro che lo portava a viaggiare tantissimo, sia per partecipare ai festival ma anche perché come direttore della Cineteca era membro di una organizzazione internazionale che si chiama FIAF – Federazione Internazionale degli Archivi Filmici, un’istituzione in cui vengono stabilite le politiche di conservazione del cinema.

Quando andò in pensione dalla Cineteca, per raggiunti i limiti di età, non restò certo con le mani in mano, fece per dieci anni il direttore della Fondazione Fellini a Rimini. Pensate che Chicchi, allora sindaco di Rimini, appena saputo che lui era andato in pensione prese subito la palla al balzo, pensando che magari Boarini non avesse voglia di stare in pantofole, magari aveva voglia di fare ancora qualcosa. Gli chiese se fosse disposto ad assumersi l’incarico come direttore della Fondazione. Lui si informò di quello che si poteva fare, delle disponibilità finanziarie e disse di sì. Il Sindaco si stupì molto quando, chiedendogli quale sarebbe stato il suo onorario, Vittorio rispose che non voleva lo stipendio, lui aveva la pensione e gli bastava. L’importante era che gli pagassero le spese e che ci fossero i finanziamenti per fare i progetti. Hanno portato in giro mostre su Fellini per tutto il mondo, hanno fatto convegni, proiezioni, ma soprattutto sono riusciti ad acquisire Il libro dei sogni di Fellini, un’opera di grande valore, che oggi è al Museo della Città di Rimini.

Era un uomo molto generoso…

Ti faccio un esempio: Vittorio non ha mai dato nessuna importanza alle macchine, la 500 gli serviva per motivi pratici, essendo una macchina piccola e agile. Lui ha sempre avuto come unica macchina una 500 o nera o blu scuro, poi quando era distrutta la cambiava. Questa macchina era sempre parcheggiata sotto casa sua in pieno centro, e una volta si rese conto che era diventata il rifugio di un senzatetto che ci passava la notte. Vittorio era molto imbarazzato, si fece tantissimi scrupoli di dover portar via il letto a questa persona. Gli portò una coperta e una bottiglia di vino… Questo per dire che oltre che generoso era anche molto rispettoso di tutte le persone che incontrava.

Alcuni testi a cura di Vittorio Boarini
Cosa pensava del genere documentario?

Il genere documentario per Vittorio non andava assolutamente distinto dal cinema. Infatti lui era assolutamente contrario a queste distinzioni nelle commissioni, alle classifiche diverse. Per lui il documentario è cinema e basta. A lui i documentari piacevano moltissimo. Devo dirvi che uno dei film più interessanti che abbiamo visto insieme, che lui riteneva straordinario e che lo ha commosso molto, era Ex Libris: New York Public Library, di Frederick Wiseman. Racconta di questa istituzione che dà accoglienza anche a persone che sono senza casa, che hanno bisogno di un posto caldo, li lasciano entrare, li lasciano dormire lì la notte, e mettono anche a disposizione i libri per poterli consultare. E poi i vari servizi di pre scuola per i bambini con genitori che devono andare a lavorare presto, o il doposcuola, corsi di ogni genere, per gli immigrati, corsi di varie lingue. È un documentario meraviglioso, che dura quattro cinque ore, ma non ci si stanca.

Perché Vittorio si era commosso per questo film?

Proprio perché era nel suo spirito preoccuparsi della gente che ha bisogno, che ha meno disponibilità, come i senzatetto. E poi il senso della cultura messa a disposizione della gente, la cultura al servizio di tutti, la cultura come una cosa basilare, come il pane. Uno dei suoi registi preferiti in assoluto infatti era Ken Loach, che non a caso si è sempre occupato degli operai, della gente povera, dell’emarginazione. E Vittorio proveniva proprio da una famiglia operaia.

Raccontaci un po’ della sua famiglia.

Era una famiglia veramente particolare, perché i due nonni e suo padre erano operai specializzati delle Officine Militari a Porta Castiglione, dove si producevano le munizioni. La mamma invece proveniva da una famiglia nobile decaduta. Quindi nella famiglia di Vittorio c’era questa dualità: da parte di padre tutti operai, che venivano dalla campagna, la nonna contadina poi inurbata e divenuta operaia; da parte di madre invece nobili decaduti che si arrangiavano come potevano, perché avevano perso tutto, e dovevano andare a riscuotere il sussidio all’Opera Pia dei Vergognosi…

Secondo te la famiglia gli ha trasmesso l’interesse per la cultura?

Credo proprio di si, soprattutto la famiglia del padre. Perché sia al nonno Alfonso che al padre Roberto piaceva leggere alla sera. Avevano libri in casa, leggevano tutti insieme a voce alta. Occupavano così le serate di guerra… erano tutti ovviamente di sinistra, tutti antifascisti, ascoltavano Radio Londra da sotto le coperte, per non farsi sentire.

Pensa che quando era piccolo gli hanno letto tutto il Don Chisciotte. E questo è interessantissimo, perché Don Chisciotte è la figura di un sognatore, possiamo quasi pensare che Vittorio abbia assimilato così l’idea dell’utopia, l’inseguire il sogno. E poi i nonni, come facevano anche altri operai, andavano a teatro. C’erano gli spettacoli a prezzi accettabili, andavano a vedere tutte le opere e poi raccontavano le trame al bambino Vittorio, che si divertiva. Il nonno cantava l’opera in casa mentre faceva i lavoretti. Insomma una famiglia molto vivace!

Qual è la cosa che ti ha affascinato di lui?

Dal punto di vista personale mi affascinava il fatto che lui era coinvolgente, mi coinvolgeva moltissimo in tutte le sue passioni. Amava anche confrontarsi. Uno così capace potrebbe anche starsene nella sua torre, senza sentire gli altri, invece no: a lui interessava moltissimo il mio parere sulle cose, mi raccontava sempre tutto quello che gli capitava sul lavoro e si interessava molto alle mie opinioni. Noi discutevamo di tutto: psicanalisi, politica, filosofia, storia, era un uomo di grande cultura e con una memoria di ferro. Con una grande capacità di sognare e di trasformare i sogni in realtà.

Cristina Berti Ceroni e Vittorio Boarini

In copertina: Vittorio Boarini (foto Cristina Berti Ceroni)