La stravagante storia delle ferie estive degli italiani
Dall’incontro tra le immagini dell’Archivio Nazionale dei Film di Famiglia e la penna di Ermanno Cavazzoni, scrittore e sceneggiatore dell’ultimo Fellini, nasce “Vacanze al mare”, una stravagante storia delle ferie estive degli italiani. Giocando sul fraintendimento, l’errore e l’ovvietà, Cavazzoni racconta un secolo di vacanze al mare attraverso la lente straniata del reperto, offrendoci un ritratto dell’umanità balneare comico e irresistibile. Enza Negroni lo ha incontrato.

Con il documentario “Vacanze al mare” hai raccontato mezzo secolo di ferie estive degli italiani, come è nata l’idea?
L’idea è nata dalla realizzazione di un precedente filmino breve, dove ho utilizzato il deposito di super 8 familiari di Home Movies, intitolato Mare d’inverno, dove il mare si vendicava dell’occupazione della spiaggia in estate, che considerava sua, e quindi d’inverno spazzava via con le mareggiate tutti gli impianti e i resti di questa pazzia estiva, per lui incomprensibile. Da lì mi è piaciuto molto lavorare con delle cose già fatte, perché assomiglia di più allo scrivere, a cui sono più abituato, dove hai già le parole fatte. Ed è molto diverso dal fare una regia di un film di finzione. È proprio come costruire un discorso utilizzando dei pezzi già esistenti, cosa che mi è piaciuta molto, dato che questi archivi hanno dei temi abbastanza costanti e limitati nel numero che sono, appunto, le occasioni in cui qualcuno nella famiglia riprendeva le occasioni speciali. Ci sono in abbondanza matrimoni, viaggi, viaggi di nozze a Venezia, compleanni e vacanze al mare. Mi è piaciuto immaginare un film come se questo archivio fosse trovato fra molto tempo, quando le vacanze al mare non usano più e uno ricostruisce questa abitudine temporanea che l’umanità ha avuto, come se fosse però una cosa anche un po’ incomprensibile. Questa è stata l’idea da cui sono partito.

Nel film ci hai offerto un ritratto a tratti umoristico e irresistibile dell’umanità balneare, rivelando il nostro passato animale più interiorizzato. Quali personaggi hai raccontato in particolare?
Nei filmini trovati ci sono già dei personaggi: la famigliola sotto l’ombrellone, i singoli bagnanti con gli abiti che cambiano nel tempo, come le livree di vari uccelli acquatici che possono essere diverse, e poi soprattutto il playboy da spiaggia, che è un luogo comunissimo ma io lo trovo sempre bellissimo e divertentissimo. Nell’archivio ho avuto la fortuna di trovare questi spezzoni girati da una piccola compagnia, credo riminese o di quelle parti della riviera adriatica, che si auto filmava assieme alle bellezze tedesche o svedesi che arrivavano con tutti quei luoghi comuni e quelle banalità. Quelle ritualità da playboy – che sembrano le ritualità degli uccelli, quando gli uccelli corteggiano la femmina e aprono le ali e fanno tutti i gesti, questi playboy sembrano identici. Da li mi è venuta proprio l’idea che anche la razza umana per riprodursi facesse rituali analoghi a quelli che fanno tutti gli animali per l’accoppiamento.

Hai lavorato sul testo sul film montato o hai montato il film sul testo?
I due livelli del parlato e delle immagini sono andati avanti un po’ parallelamente perché è impossibile pensare a un testo e poi trovare le immagini adatte, è più facile imbattersi in immagini che ti suscitano interesse, appunto perché comiche o perché tragiche o perché meravigliose, e poi sopra farci il testo. Avevo degli aiuti che cercavano certe cose che speravo ci fossero e le trovavano, ma trovavano anche altri materiali a sorpresa e quindi anche il testo del commento si adattava a questo. Un po’ come un antropologo o uno zoologo che vada a filmare i gabbiani e sorprendentemente trova dei comportamenti diversi da quelli che si aspetterebbe, è successo un po’ questo.
E’ chiaro che il testo l’avevo già in mente, come principio produttivo del testo, cioè questa estraneazione, questo parlare delle vacanze come se uno non partecipasse, non sapesse neanche bene perché lo si fa. E questa è l’estraneazione che mi piaceva adottare, anche perché in fondo è vera, perché io il mare estivo, il calore, la calca, li vivo proprio come una cosa terribile, una specie di inferno. Le poche volte che ci sono andato è quello della calca, non il mare bello dove vai, magari in posti meravigliosi. Quindi c’è anche un elemento autobiografico, come sempre in queste cose.

Sono documenti straordinari, soprattutto nella loro ripetitività. Quali sono le azioni dei bagnanti che ti hanno colpito maggiormente?
Questi filmini sono tutti banali, cioè sono tutti ovvi. Mi colpivano molto questi signori un po’ grassottelli di mezza età, con l’acqua a metà gamba, che stavano fermi, guardando in distanza, e a me venivano proprio in mente i trampolieri che stanno lì, ogni tanto con il becco pescano nel fondo ma stanno lì nel loro ambiente naturale. E poi ci sono tante figure tipiche, per esempio quello che passa con i bomboloni, o il piccolo aereo, che non usa più, con la striscia dietro di reclame di un prodotto. Poi i bambini, gli infiniti bambini che giocano, giocano a palla, la palla va addosso a qualcuno. Sono tutte cose che chiunque ha già visto, e anche se non le ha viste direttamente sa che è così la vita marina. E ovviamente c’erano le riprese fatte meglio o più giuste, più tipiche, massimamente tipiche, ed era quello che un po’ cercavo, non l’anomalia, la stranezza, ma proprio la tipicità a cui non badiamo mai. Cose che facciamo tutti i giorni, le facciamo senza pensarci e anche questi filmini filmano sempre l’ovvio.
Ecco proprio questi filmini sono quello che ci manca dell’antichità. Si sono conservati i grandi libri, Plutarco, meravigliosi, con le vite dei grandi condottieri, le grandi imprese. Ma cosa faceva un antico romano ogni giorno, quando si alzava, usciva, andava al mercato, come si comportava? Ecco, tutto questo è sfumato. Mentre Pompei è una meraviglia proprio perché è analoga ai filmini di famiglia, perché si trovano le scritte sui muri. Ho un piccolo librino che raccoglie tutte le scritte che sono esattamente come le nostre: viva questo, viva quest’altro, oppure un insulto in latino, piccole tracce della vita quotidiana irrilevanti però interessantissime proprio per questo.

C’è un racconto cronologico che si sviluppa nel film?
Si è montato partendo dagli anni venti/ trenta, dove i documenti sono pochissimi, però sono più straordinari per i costumi, i costumi interi delle donne, e poi la rarità dei bagnanti. Ecco, in quegli anni non era un fenomeno di massa ma un fenomeno salutare, direi, come andare alle terme, una distrazione momentanea, un piccolo divertimento di pochi. E anche i filmini sono pochi, però alcuni li ho usati perché erano anche buffi. È come l’avvio, quando ancora il mare era qualcosa che intimoriva o da cui uno stava lontano, rischiava di annegare e probabilmente pochi sapevano nuotare, o avevano imparato a nuotare nel canale di casa. Poi non c’era l’attrezzatura, ovviamente, e quindi è come l’inizio, l’avvio di questa balneazione colossale. Adesso, parlandone seriamente, è un fenomeno interessantissimo, come è interessante il turismo come fenomeno solo del ‘900, che non c’è mai stato nella storia dell’uomo, se non in forme di pellegrinaggi a certi santuari.

Anche nella prima epoca romana imperiale c’era stata una specie di turismo, però era sempre un po’ culturale: dei pochi, dei ricchi. Il mare era guardato con paura, timore. Come le ville dei grandi romani: a Capri c’è la villa di Tiberio, dell’imperatore, che è su altissima, e quindi era più il panorama, più lo stare in un posto con l’aria pulita, non c’era l’idea del bagnarsi in mare. Ma anche nei testi antichi nell’Odissea: Ulisse, quando sbarca e arriva finalmente nella sua isola, esce dal mare come una specie di naufrago, né ci vuole restare. Quindi il mare è qualcosa che si pativa o che si doveva navigare per necessità commerciali. È solo nel ‘900 che il mare diventa una vasca da bagno ed è un fenomeno curioso che, sono sicuro, scomparirà fra magari dieci anni o un secolo.

Hai capito perché tantissima gente si accalcava in un sottile lembo di spiaggia?
Il perché è un mistero, come tutte le ritualità umane, che sono mode, e perché nasce una moda non si sa. Dicono che il boom del litorale adriatico ci sia stato perché proprio lì c’erano queste costruzioni, le colonie per bambini, che erano grandissime e ci sono ancora, rimaste disabitate, vuotate. Quando gli americani, alla fine della guerra, sono arrivati lì e hanno liberato tutta la zona, avevano molti prigionieri tedeschi dell’ultima leva, di quella della fine della guerra. Erano ragazzi di 15/16 anni che si sono trovati messi in prigionia, ma c’era il filo spinato alle spalle della spiaggia e loro potevano andare in mare. Sulla spiaggia avevano da mangiare e quindi è stato come una specie di enorme benessere dopo tutte le difficoltà dell’inverno, della guerra. E a questi ragazzi, poi tedeschi tornati in Germania, si vede che è rimasta in mente la spiaggia di Rimini come un luogo idilliaco, e ci sono tornati con le famiglie a colonizzare turisticamente la zona, che non è una zona molto attraente come paesaggio, però si vede che questo senso di salute e di pace li aveva commossi.

Un affascinante esercizio di stile è la colonna sonora, puoi raccontarci come hai proceduto?
Per la colonna sonora mi hanno aiutato due musicisti, uno è Giorgio Casadei, l’altro Vincenzo Vasi, è uno straordinario musicista che canta anche. C’era questo pezzo di Pergolesi, Stabat mater. Vincenzo Vasi lo avevo sentito cantare un pezzo di Pergolesi ma con la voce inadatta, lui ha la voce da basso, e invece c’era un pezzo per soprano. Mi piaceva usare un pezzo musicale classicissimo e bellissimo con strumenti inadeguati, voci inadeguate. Mi piacciono molto le musiche fatte con strumenti inadatti, perché diventano buffe, ma nello stesso tempo restano gradevoli, piacevoli, e c’erano pezzi di Pergolesi che si prestavano. Perché nello Stabat mater ci sono anche quei momenti tragici della morte, della morte di Gesù e il pianto della Madonna che si adattavano al film, è come se descrivesse un inferno, dove le anime sono condannate. E’ stata un’associazione sempre di tipo semi casuale, come in queste cose succede, però alla fine l’ho trovata adatta. E importante: le colonne sonore tengono unite le immagini, danno molto senso e anche, come dire, affettuosità alle immagini, le colorano.

Come definisci il cinema documentario di Gianni Celati, scomparso poco tempo fa? Hai un ricordo del film a cui hai partecipato, “Strada provinciale delle anime”?
I film di Celati sono una via di mezzo tra il documentario e la fiction semi recitata, io li apprezzo molto, sono molto particolari. Il timbro di Celati è molto forte, i suoi film assomigliano un po’ ai suoi libri, e sono belli anche i soggetti. Per esempio, le case che crollano è un’idea bellissima e commovente, anche se non trattata nel film in forma di perdita, però dà l’idea del tempo che passa, delle vite che si consumano e anche delle cose che si consumano: è quasi un film filosofico, ma filosofico rassegnato, non critico, che dice “guarda che guaio”. Poi il film su Ghirri, è molto affettuoso verso Ghirri, con tutta questa cerchia di amici che gli stanno attorno, con molto affetto. E Strada provinciale delle anime è questo piccolo viaggio in pullman che diventa un po’ il viaggio della vita. La vita è come un pullman su cui si imbarcano gli amici, quei pochi amici che uno mette insieme e che lo accompagnano nella vita, verso il niente, perché tutto finisce inevitabilmente.
E poi Celati ha avuto la fortuna o l’intuito di trovare questo nome reale, di una strada reale che si chiama davvero Strada provinciale delle anime e che diventa un po’ la chiave di questo film, diventa un film spirituale, proprio con questo nome, anche se è semplicemente una gita. Una gita dove si incontrano anche i parenti, gli zii di Celati. Mi verrebbe da dire una sua autobiografia metafisica.
Riferimenti:
Tutte le immagini dell’articolo sono tratte da Vacanze al mare, regia di Ermanno Cavazzoni. Un film Kiné in coproduzione con Pierrot e la Rosa, Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia.
About Author / Enza Negroni
Regista documentarista, è presidente di DER - Associazione Documentaristi Emilia-Romagna