The Passengers è un documentario di Tommaso Valente e Christian Poli, realizzato nel 2021 e prodotto da Kamera Film. Il film racconta le vicende personali di alcuni beneficiari del progetto Housing First della cooperativa SolCo di Ravenna, seguendo le evoluzioni, le difficoltà, le relazioni, le storie intime di donne e uomini che tentano di ritrovare un equilibrio nella propria vita. Il metodo Housing First è un modello di abitare sociale nato in Nord America, che percorre una via diversa per l’accoglienza dei senza fissa dimora: cioè quella di considerare la casa come punto di partenza e non di arrivo, come solitamente avviene. La casa è il primo, innegabile sostegno per gli homeless: si separa così l’abitare dagli altri fattori di emarginazione e di rischio. Un progetto Housing First punta infatti alla responsabilizzazione diretta dei partecipanti e ha l’obiettivo di ricreare un patto tra inquilini non referenziati (anzi, potenzialmente inaffidabili) e proprietari delle case, attraverso il superamento dei concetti di “carità” e “assistenza”, a vantaggio dei concetti di “fiducia”, “incontro” e “condivisione”.

Paolo Maoret ne ha parlato con Tommaso e Christian, autori e registi del film.

Parto da te Tommaso. Come è nata l’idea di “The Passengers” e come mai questo titolo?

Con il metodo Housing First è stato amore a prima vista. Rimasi affascinato da come me ne parlò Daniela Gatta [educatrice e responsabile della comunicazione per la cooperativa SolCo negli anni 2017-2018, ndr]. Daniela lavorava nel progetto Housing First, che era ancora in fase di sperimentazione, e ha partecipato all’idea iniziale del primo cortometraggio. Da tempo cercavo una storia che potesse esplorare la relazione tra individuo e società dalla parte dei più fragili e, già dai primi sopralluoghi negli appartamenti del progetto Housing First a Ravenna mi sono reso conto che l’avevo trovata. Il titolo del film è lo stesso del primo cortometraggio e probabilmente, a livello subliminale, Iggy Pop ha fatto il suo, visto che The Passenger è un brano che adoro. In realtà quello che mi piace di questa parola è la sua valenza evocativa, che in inglese è più forte che in italiano, e che contrasta con l’idea di stabilità che il concetto di casa porta con sé, restituendo lo stato emotivo dei nostri protagonisti: viaggiatori della vita verso un posto da chiamare casa.

Come hai potuto sviluppare la tua idea dal punto di vista pratico? Come sei riuscito a creare relazioni così profonde con i protagonisti del film?

La cosa più importante è stata avere il sostegno dell’equipe del progetto e del consorzio SolCo di Ravenna, che lo gestisce. Lo dico perché in nessun momento ci hanno chiesto di modificare la linea narrativa del documentario, di edulcorare i contenuti, anzi, ci hanno lasciato liberi di raccogliere sia i momenti positivi che quelli controversi, nell’ottica di restituire un quadro autentico delle storie. Ti assicuro che questo atteggiamento non è scontato, in molti ci avrebbero potuto chiedere di “nascondere la polvere sotto al tappeto”.

Inoltre, essendo Housing First un metodo transdisciplinare, ho potuto lavorare anch’io all’interno dell’equipe del progetto come educatore, mettendo in gioco le mie competenze trasversali, ma anche mettendo in gioco me stesso nella relazione con i partecipanti. Credo di dovere tanto a questa scelta, che è stata anche molto dura in alcuni momenti, perché ho imparato a smontare, letteralmente, il mio modo di approcciarmi alle persone e a ricostruirlo sotto una prospettiva diversa, nella gestione della relazione con i più fragili. Ho imparato anche ad avere un’attenzione diversa, a notare dettagli che prima non notavo, a trovare spunti che altrimenti non avrei mai avuto e a svilupparli diversamente durante la lavorazione. Questo è decisamente impagabile. È stata un’esperienza importantissima per le opportunità che i protagonisti hanno potuto offrire al film. The Passengers è un film fatto con i protagonisti, non su di loro.

A te Christian chiedo: in che fase del lavoro sei entrato in gioco? E avevi mai sentito parlare di Housing First prima?

Ho cominciato a lavorare al progetto durante lo sviluppo del corto che ha preceduto il film. Tommaso aveva già pensato alla forma, che sarebbe poi diventata quella del lungometraggio, con il connubio tra animazioni e “racconto del reale”. Insieme abbiamo poi scritto il film direttamente in montaggio. Da quel momento è nata l’idea di portare avanti un progetto più complesso, anche se all’inizio non ci era chiaro se sviluppare una serie o un film. Non avevo mai sentito parlare dell’Housing First, non mi era mai capitato nelle mie esperienze lavorative, che sono più legate alla finzione, né negli incroci casuali della vita.

Le storie dei protagonisti sono rese attraverso testi scritti da te e una serie di animazioni delicatissime e variopinte. Come avete lavorato in questa fase?

Il nostro intento era che i protagonisti si raccontassero con la massima libertà, scegliendo anche il mezzo espressivo che ritenevano più consono, fosse un monologo, una poesia o simile. Ovviamente arrivando a un testo che potesse coordinarsi con le animazioni che avremmo pensato e realizzato in seguito. Quindi la cosa è stata molto semplice: abbiamo raccontato loro cosa avevamo intenzione di fare e li abbiamo coinvolti con la massima trasparenza, lasciandoli liberi di decidere quanto di sé raccontare. Qualcuno mi ha raccontato la sua storia e mi ha detto “fai tu”, qualcun altro ha detto “vorrei una poesia”, Marino ha preferito riflettersi nelle storie, e negli egoismi, degli altri. Poi ho aggiustato i testi, ma l’ultima parola è sempre stata quella dei nostri protagonisti. In pratica, sono stati autori di se stessi.

Durante la scrittura dei testi, immagino un processo di forte empatia nei confronti dei protagonisti. Quali sono state le difficoltà a immedesimarsi in questi vissuti? Avete posto dei limiti?

Nessun limite. Difficoltà emotive, quello sì, perché le storie dei nostri passengers sono spesso dense di un vissuto doloroso. Ma questo non fa che avvicinarti ancora di più a loro, lasciando ovviamente a casa ogni intento di giudizio e portandosi indietro invece una ricerca di comprensione. D’altronde è il senso intimo del film: raccontare storie di persone che hanno avuto un percorso difficile ma che ci sono molto vicine, potrebbero essere ognuno di noi alle prese con un inciampo della vita. La casa è l’àncora che ti può aiutare e l’immedesimazione è sempre la chiave per la sensibilizzazione a un tema.

Torno a te Tommaso. La struttura a capitoli del film rende chiaramente la lenta e paziente evoluzione di un progetto Housing First… È un’idea che è nata in scrittura oppure in un secondo momento o addirittura in montaggio?

All’inizio, considerato anche il linguaggio ibrido del film, volevamo fare una serie di cortometraggi divisi per appartamento. Durante lo sviluppo e la lavorazione, però, ci siamo resi conto che non solo le storie si potevano intrecciare, ma che potevano dipanarsi in una divisione in capitoli. È stato poi il montaggio, passo dopo passo, a guidarci verso la forma attuale. Anche grazie al lavoro sulla struttura, fatto insieme al montatore Massimiliano Bartolini, e alle suggestioni delle animazioni di una delle protagoniste, è nata l’idea dell’albero, dalle radici alle foglie. Mi fa piacere che tu ci veda “la lenta e paziente evoluzione di un progetto Housing First”, perché c’è della serendipità in questo e mi sembra una cosa molto positiva.

Qual è stata la reazione dei protagonisti del film nel rivedersi in scena? E pensi che la loro partecipazione abbia avuto delle ricadute reali nell’evoluzione dei loro progetti?

Per loro è stata, allo stesso tempo, un’esperienza intima e un’esperienza pubblica. In entrambi i casi è stato toccante e, forse, per la prima volta si sono sentiti rappresentati, nell’accezione più ampia del termine. Durante la proiezione si sono commossi, hanno percepito, realizzato pienamente l’importanza di ciò che avevano fatto mettendo in scena le proprie storie, per se stessi e per il pubblico. Intimamente hanno potuto riconoscere la fatica e la soddisfazione del proprio percorso e, a mio avviso, hanno compreso non solo quanta strada hanno fatto finora, ma soprattutto il valore della loro storia, quanto possono dare alla società grazie alla loro esperienza. Molto spesso, rispetto alle persone che hanno vissuti come quelli dei protagonisti, si sente usare l’appellativo di “bisognosi”, ma è assolutamente inappropriato. Stavolta hanno percepito che possono mettersi nella posizione di dimostrare quanto hanno da dare e quanto la comunità sia “bisognosa” nei loro confronti.

Rispetto alla loro percezione più intima, credo che sarebbe più giusto che fossero loro a parlarne. Io ho sempre pensato che ognuno ha il diritto di decidere come raccontarsi, e abbiamo fatto di tutto affinché loro potessero esercitarlo, con responsabilità e consapevolezza.

Christian, tra quelle del film, c’è una storia che hai sentito più affine alla tua autorialità oppure che ti ha ispirato particolarmente?

In tutte le storie penso ci sia almeno un punto di empatia che fa risuonare qualcosa in ognuno di noi, perché dal macrotema homelessness si entra nelle peculiarità intime di persone che vivono, o hanno vissuto, le nostre stesse difficoltà, solo in scala molto più grande. Parlo dei problemi genitoriali, di rapporti complessi con il lavoro, di dipendenze, di relazioni sociali compromesse. Certamente nelle vicissitudini di Simone, alle prese con i cascami di una giovinezza, diciamo così, irrequieta, ho rivissuto temi legati alla mia generazione, quella nata alla fine del boom, che si ritrovò adolescente in un mondo devastato dalla droga e dal crollo delle ideologie.

Ci sono delle storie di persone all’interno del progetto Housing First che avreste voluto raccontare, ma per qualche ragione non sono entrate a far parte del film?

Certamente. Di storie ce ne sono tante altre: qualcuna non è entrata per motivi di spazio filmico e qualcun’altra perché il suo proprietario ha scelto di non raccontarsi. Secondo i manuali di narrazione “dove c’è conflitto c’è storia” e nelle vite dei partecipanti al progetto Housing First di conflitto, purtroppo, ce n’è tanto.

Infine una domanda per entrambi: cosa vi ha lasciato questa esperienza vissuta in profondità nel mondo dell’ Housing First? Cosa vi portate “a casa”?

Christian: Una sensibilizzazione certamente più profonda al tema dell’homelessness e un arricchimento interiore, come sempre capita quando si entra in sintonia con le persone. E anche un maggior amore per la mia casa.

Tommaso: Alla fine di questo film mi sento più sporco, più contaminato, come se avessi drenato molte scorie lungo il tragitto, ma non è una cosa negativa. Queste scorie non provengono dai protagonisti, fanno parte di me. Fare questo film le ha smosse e mi ha permesso di conoscermi meglio.

Note:

The Passengers uscirà in sala a Ravenna il 25 febbraio prossimo, presso il CinemaCity. Seguiranno altre proiezioni a Faenza, Forlì, Bologna e Modena. 

Info: www.facebook.com/thepassengersdoc

Tutte le immagini a corredo dell’articolo sono tratte da “The Passengers” di Tommaso Valente e Christian Poli, produzione Kamera Film.