Luci e ombre sulla Uno Bianca
UNO BIANCA. MIRARE ALLO STATO è un documentario a cura di Roberto Guglielmi ed Enza Negroni, realizzato con gli studenti del Corso Doc del Liceo Laura Bassi di Bologna. Enza Negroni lo ha raccontato a emiliodoc.

I fatti criminosi messi in atto dalla banda della Uno Bianca e la ricerca di verità e giustizia a trent’anni di distanza, sono al centro del documentario realizzato con gli studenti del Corso Doc del liceo Laura Bassi di Bologna. Tra i colpevoli dietro le sbarre risultano ad oggi i fratelli Savi, poliziotti, ma alcuni dubbi esposti nel documentario restano e la ricerca di altri colpevoli è al centro del film. Grazie al lavoro di ricerca e alla collaborazione con i familiari delle vittime, con i magistrati e con i giornalisti, gli studenti hanno raccolto le testimonianze di chi oggi dubita che la verità giudiziaria sia completa e pensa che ancora manchino alcuni tasselli per completare il mosaico criminale.
L’Emilia-Romagna e le Marche sono state le inquietanti cornici delle violenze gratuite, degli assassinii e dei crimini della banda della Uno Bianca che per sette anni ha imperversato, armi in pugno, uccidendo brutalmente decine di persone e ferendone altrettante. La banda, per la maggior parte formata da poliziotti, ha agito indisturbata e protetta; chi indagava non poteva certo immaginare che proprio all’interno dello Stato ci fossero uomini capaci di disegni criminali inauditi.

Quando le azioni della banda della Uno Bianca cominciano a configurarsi come azioni terroristiche anziché azioni di criminalità comune?
A Bologna purtroppo eravamo abituati ad attacchi di matrice eversiva: la strage del 2 Agosto. La macchina del terrore alla Stazione Centrale, prima ancora la strage dell’Italicus, dopo la Strage del Rapido 904, le nostre antenne erano abbastanza orientate a cogliere segnali di matrice terroristica… Io cominciai a pensare che vi era un gruppo di fuoco, di stampo chiaramente terroristico, che operava a Bologna e nella nostra Regione, in concomitanza con il duplice omicidio dei due carabinieri Erriu e Stasi di Castel Maggiore. Lì mi convinsi che c’era qualcosa che si muoveva contro Bologna e, come sempre, non semplicemente contro Bologna. Perché colpire Bologna mandava contemporaneamente messaggi non solo a chi governava lo Stato ma anche all’opposizione nazionale. Dal duplice omicidio di Castel Maggiore in poi io mi resi conto che ci trovavamo di fronte a un attacco apertamente eversivo. Gli eccidi di Castel Maggiore e del Pilastro sono stati entrambi degli agguati.
(Onorevole Mauro Zani)
Il metodo di realizzazione del documentario, girato con una troupe ridotta guidata dai professionisti dell’Associazione Documentaristi Emilia Romagna assieme agli allievi del corso del professore Roberto Guglielmi, ha permesso ai giovani cineasti di entrare in empatia con i soggetti intervistati instaurando un rapporto di fiducia con i testimoni. Le domande delle interviste, accuratamente preparate per far emergere man mano i ricordi dei fatti accaduti, hanno ridato vita ad emozioni mai sopite nei testimoni e ad una loro ancora inesaudita richiesta di una verità ad oggi non completa.

Prevalentemente mi sono occupata delle interviste. Cercavo di entrare in empatia con gli intervistati per metterli a proprio agio. Rispettavo i loro silenzi, le loro emozioni mentre assorbivo, senza accorgermene, le loro confidenze. Alla fine d’ogni intervista provavo quasi sempre le stesse sensazioni: ero distrutta dalla stanchezza e non riuscivo a tornare indietro, alla mia quotidianità.
(Anna Rebeschini, studentessa Corso Doc)

Le ricostruzioni realizzate con gli studenti nel ruolo di attori hanno permesso agli stessi ragazzi di comprendere esattamente le dinamiche dei fatti narrati e di verificare quanto ci sia ancora di torbido ed oscuro intorno a questa inquietante vicenda: contraddizioni, depistaggi, rivendicazioni degli attentati, sparizione di elementi di indagine, minacce.
Un lavoro fondamentale è stata la ricerca di archivio, effettuata presso la sede Rai di Bologna, dove si è potuto visionare il materiale di repertorio relativo a quei fatti ed ascoltare direttamente i giornalisti che hanno lavorato al caso, come Stefano Tura. Altre sequenze di animazione, prodotte con l’Antoniano, partner del progetto, sono state realizzate intervenendo graficamente sul materiale di repertorio.
Procedendo con le interviste, ogni incontro confermava che il lavoro si muoveva nella direzione giusta, mettendo in fila molti tasselli e lasciando alcuni spazi inesorabilmente vuoti. Ritornare di notte al Pilastro, con telecamere e luci, nel luogo dell’eccidio dei tre giovani carabinieri Andrea Moneta, Otello Stefanini e Mauro Mitilini e visitare gli altri luoghi delle stragi, facendo recitare agli allievi sul posto in esterni notte alcuni brani e racconti, ha reso il percorso del documentario ricco di emozioni inaspettate.
Trovare per ogni testimone un luogo appropriato è stato un lavoro che ha dato i suoi frutti, perché mettere a proprio agio l’intervistato in questo documentario è stata una priorità assoluta. Così la signora Rosanna Zecchi è stata intervistata a casa sua, il figlio di Pietro Capolungo, insegnante, a scuola, tra i banchi, e il signor Stefano Alessandri al campo di calcio dove il padre allenava una squadra giovanile.

Secondo lei i componenti della banda della Uno Bianca sono stati tutti assicurati alla giustizia?
No! La sera del 26 giugno 1989 c’erano tanti testimoni e quasi tutti hanno detto di aver visto altri delinquenti presenti, non potevano essere solo due. Due erano quelli in fuga dal retro della Coop, in via Goethe, quelli che hanno ucciso mio padre, gli altri sono fuggiti su via Gorki dopo il conflitto a fuoco con le guardie giurate. Inoltre, chi ha minacciato me e anche gli altri familiari delle vittime o i testimoni oculari durante il processo? Se i cinque componenti della banda della Uno Bianca erano in galera, chi è stato? Era sicuramente qualcuno, in qualche modo, appartenente alla banda. Insomma, quelli arrestati non sono tutti. C’è ancora altra gente a piede libero.
(Stefano Alessandri, figlio di Adolfino Alessandri, ucciso dalla Banda della Uno Bianca)

Alcuni tutor, come i registi Alessandro Rossi e Michele Mellara, hanno espresso la loro creatività ed esperienza gestendo interviste complesse, come quella con il magistrato Giovanni Spinosa che, con la sua ricostruzione, ha intrecciato quel filo rosso che aiuta nella ricerca della verità.
Con l’intervista al fratello del carabiniere Mitilini al teatro Dom del Pilastro si è creata un’atmosfera teatrale con le luci dirette ora sul volto ora sul corpo per segnalare, metaforicamente, che ancora occorre fare piena luce su alcuni fatti e non rassegnarsi all’oblio e alla rassegnazione.
Oggi la storia della Uno Bianca si può considerare, nonostante i suoi misteri, una storia chiusa?
Io credo di no. Se fosse una storia chiusa non staremmo qui a porci tante domande, senza risposte. Ciò che è emerso dai processi – a parte le responsabilità di alcuni degli esecutori materiali che chiuse, di fatto, i riflettori su questa vicenda – non ha dissipato i dubbi e le incongruenze di una storia che permane ancora, per molti aspetti, oscura. Mi auguro, pertanto, che qualcuno trovi il modo per far emergere la verità, magari denunciando fatti che all’epoca ha ritenuto irrilevanti. So che è un problema di coscienza, credo nella giustizia divina, perciò sono fiducioso. Le istituzioni, invece, hanno il dovere di cancellare le tante ombre che aleggiano su questa vicenda per dare una risposta al perché di 24 morti e 102 feriti. Misteri che rappresentano una minaccia per la sicurezza della nostra democrazia.
(Ludovico Mitilini. Fratello del carabiniere Mauro Mitilini ucciso al Pilastro )

Per ciò che concerne l’esperienza formativa ed educativa per gli studenti possiamo dire che il mezzo cinematografico è stato ideale per mediare e conoscere direttamente ciò che è accaduto in realtà ed insegnare le potenzialità del mondo audiovisivo. Scrittura e sceneggiatura, recitazione, ripresa, montaggio e animazione sono le discipline che, dalla teoria alla pratica, si sono esercitate. Agli allievi è stato chiesto di sviluppare le proprie considerazioni su temi quali violenza, paura e insicurezza sociale, trasformazione nel modo di vivere dei quartieri. In molti di loro è affiorato stupore e senso di insicurezza nella scoperta che i banditi erano poliziotti.
Della banda della Uno Bianca non avevo mai sentito parlare. La prima intervista è una di quelle che ricordo meglio per l’intensità delle emozioni: Alberto apprende della morte del padre dalla televisione e ritorna a Bologna, dov’era fino a qualche ora prima. Quel giorno anziché pranzare col lui, come al solito, lo vede su un tavolo dell’obitorio, ancora con gli occhi aperti e ricorda che quella mattina non l’ha neppure salutato…
(Martina Spangher, studentessa Corso Doc)
A vent’anni dai processi, prima che escano tutti di galera, abbiamo preso un filo e legato i fatti. Vi consegniamo il racconto, gli scenari e le figure emerse, nella speranza che chi sa, e non ha mai parlato, possa parlare e la magistratura torni ad indagare.
(Francesco Armaroli, studente Corso Doc)
Note:
Hanno contribuito alla realizzazione di Uno Bianca. Mirare allo Stato l’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna con il progetto Concittadini, l’Associazione Corso Doc, il Mibact, il Miur, Associazione D.E-R Documentaristi Emilia-Romagna.
In copertina: La locandina di Uno Bianca. Mirare allo stato. Tutte le immagini dell’articolo si riferiscono alle lavorazioni del film.
About Author / Enza Negroni
Regista documentarista, è presidente di DER - Associazione Documentaristi Emilia-Romagna