Ulisse e Achille, due lupi e un documentarista
IL CONTATTO, un film documentario di Andrea Dalpian, racconta la storia di Ulisse e Achille, due cuccioli di lupo accolti e curati dal Centro Recupero Fauna Esotica e Selvatica di Monte Adone, nel medio Appennino bolognese. Con Andrea abbiamo parlato della genesi e dello sviluppo del film, ma soprattutto dell’incredibile incontro tra due lupi e un documentarista.

Come è nato questo progetto?
Con il Centro Tutela e Ricerca Fauna Esotica e Selvatica di Monte Adone collaboriamo da più di 10 anni. Eravamo andati lì inizialmente per fare un documentario, poi ci siamo trovati a farne mille, a collaborare su molti fronti. Abbiamo realizzato tantissimi video per il web, una serie per Sky Uno, una serie per Repubblica web, e molto altro. Abbiamo lavorato con diversi animali, perché il Centro è una specie di ospedale H24, e lì arriva veramente di tutto: leoni, tigri, scimpanzé, animali esotici che provengono da sequestri, detenzioni illegali o maltrattamenti, dai circhi, o dalla malavita. Ognuno di questi animali ha una storia da raccontare.

Quando sono arrivati i lupi da queste parti?
Alcuni decenni fa il lupo è ricomparso nelle nostre zone, parallelamente alla enorme crescita di tutti gli ungulati, che sono le loro prede naturali. Di conseguenza la popolazione dei lupi è esplosa, così come le occasioni di contatto con l’uomo. Il contatto avviene con gli allevatori in Appennino, o anche semplicemente nell’incontro/scontro sulla strada. La stragrande maggioranza degli animali che arrivano al Centro di Recupero sono stati investiti da un’auto.
Dal 2012 ad oggi circa una settantina di lupi sono passati dal Centro, dove è stata creata una zona apposita per loro, un po’ separata dal resto, perché hanno bisogno di calma e di distanza. Fin da subito si è capito che l’appeal (anche cinematografico) di questo animale è molto diverso dagli altri. Ha un fascino particolarissimo, innanzitutto perché è un predatore. Incontrare un lupo ci riporta ad una dimensione di selvaticità, di wilderness, è completamente diverso dall’incontrare un capriolo, o un cinghiale… anche perché il lupo si porta dietro una quantità di leggende, di miti, di paure che suscitano immediatamente la curiosità delle persone.


E la storia di Achille e Ulisse?
A un certo punto, in maniera del tutto casuale, sono arrivati al Centro due cuccioli molto piccoli. In passato ne erano già arrivati degli altri, ma tutti un po’ più grandicelli. Questi due avevano solo 10 giorni e 20 giorni circa. È un evento molto strano, perché a quell’età in genere stanno sempre dentro la tana. E il Centro si è preso cura di questi due piccoli. Teniamo presente che l’obiettivo principale del Centro è sempre curare e fare il possibile perché l’animale possa a un certo punto tornare in natura. Può sembrare molto semplice: arrivano due cuccioli, li cresci e li rimetti in natura, ma questo in Italia e in Europa non era mai stato fatto con due lupi così piccoli. Per cui si è creato un dibattito scientifico molto acceso, e sono sorte tante complicazioni di carattere organizzativo-burocratico. Nel frattempo, per non perdere questa occasione unica, ho cominciato da subito a riprendere la vita quotidiana dei due lupacchiotti. Ovviamente loro, ignari della confusione che li circondava, vivevano le loro giornate da lupi, pian piano crescevano e basta.
Come mai questi nomi “epici”?
È una consuetudine del Centro: quando un animale dà chiari segni che potrà sopravvivere, allora gli viene dato un nome. Penso che in questo caso i nomi Achille e Ulisse siano stati scelti perché sono beneauguranti, e perché in un certo senso questi lupacchiotti sono come due piccoli eroi…

Nel tuo film non c’è narrazione, non c’è musica, si dà molto spazio all’osservazione. Come mai questa scelta?
In genere quando si filmano gli animali si tende a mitizzare l’azione umana e si dimentica il fine ultimo, cioè la conoscenza e il benessere degli animali. Sono partito proprio con l’intento di riportare l’attenzione sui lupi, e non su cosa stavano facendo per loro gli “umani”, i cosiddetti “angeli dei centri di recupero”. Ho cercato di partire dalla mia esperienza personale, cioè come io ho vissuto il contatto con questi animali nel corso di un intero anno.
Il mio grande privilegio è stato che i lupi non sono accessibili né al pubblico né ai volontari che lavorano al centro. Infatti solo la direttrice si è occupata di loro, e, a parte lei, io ero l’unico che poteva sostare in zona. Ho passato molte giornate in mezzo al bosco con i lupi che mi passavano davanti, ed era una sensazione molto particolare, era come stare in un altro mondo. Volevo fare un film che si avvicinasse il più possibile a ciò che ho provato in quei momenti. Non cercavo una storia, una trama, volevo proporre una vera e propria esperienza sensoriale, un’immersione nei suoni e nelle immagini dell’ambiente in cui si muovono i lupi. Immaginate di essere seduti in un prato e di osservare il comportamento di questi animali. Fate caso a ciò che vi passa per la mente. In un certo senso lo considero un film “specchio”, che ci può far riflettere anche sulla nostra interiorità, ci può far scoprire delle cose di noi.

Definiresti questo un documentario “naturalistico”?
Per me questo non è esattamente un film naturalistico, nel senso che il documentario naturalistico classico si sviluppa in un ambiente naturale, dove gli animali ti dettano il tempo e lo spazio, li raggiungi, li riprendi, e se loro vogliono se ne vanno via. Il tuo obiettivo è fare di tutto per riuscire a riprenderli. Invece in questo contesto non c’era questa possibilità, questi animali erano in una specie di limbo della vita, non potevano andarsene. Per cui per me il lavoro è stato tutto sottrattivo. Quando si lavora in queste situazioni bisogna capire da sé quando è il momento di riprendere e quando no. Il che vuol dire che la maggior parte delle volte non è il momento di riprendere. Se mi chiedono “Come hai fatto le riprese?” rispondo che il grosso del tempo l’ho passato a cercare di non stressare gli animali. E ho dovuto anche rinunciare tecnicamente a tutta una serie di orpelli e tecniche che il mio “io cinematografico” avrebbe desiderato tanto, ma che non avrebbero trovato posto in questo lavoro. Ho usato tecniche molto basiche, volutamente.

L’ultima sequenza del film è girata dai lupi stessi, in un certo senso… Che tecnica avete usato?
Per questa sequenza abbiamo usato dei sovracollari che venivano applicati ai radiocollari solitamente usati per il monitoraggio. Con un amico ingegnere abbiamo creato una camera miniaturizzata, dotata anche di GPS e radio. È fissata solo con un pezzettino di scotch, quindi resta attaccata solo per poco tempo, e poi cade a terra. Non era la prima volta che la usavamo, l’avevamo già fatto in occasione di altre liberazioni di lupi. In genere restano attaccate un’ora e mezza o due, fino a quando i lupi prendono un po’ di padronanza con la zona, cominciano a strusciarsi in giro, a rotolarsi, a tranquillizzarsi, e le telecamere si staccano. Nei giorni successivi noi andiamo con la nostra antenna radio, cerchiamo il segnale e le recuperiamo.


Prima della proiezione fornite al pubblico delle “istruzioni per la visione”. Perché?
Perché oggi come oggi siamo abituati a vedere prodotti veloci, che seguono i dettami del web. Si viene a vedere un film di questo tipo e ci si aspetta un filmato in stile Youtube, oppure un classico documentario tipo BBC o National Geographic, dove si tende sempre all’epico, al super avventuroso. Per cui io dò le “istruzioni” per avvertire il pubblico che questa è una cosa un po’ diversa. Ci vuole del tempo perché lo spettatore entri dentro al mood del film, e con queste istruzioni speravo di velocizzare il processo. Perché se uno ci entra dentro, il film poi scorre con il suo ritmo naturale.
Cosa ti piacerebbe che lo spettatore ricevesse dalla visione del film?
Mi piacerebbe che si creasse un po’ di empatia, che ricevesse qualcosa da questi animali, dal loro vivere con un senso del tempo molto diverso dal nostro. Dovremmo sempre ricordarci che ci si può anche prendere del tempo semplicemente per guardare le cose, senza dover per forza vivere grandi emozioni.

Per finire, cosa ti ha insegnato personalmente il contatto con Achille e Ulisse?
Credo che mi abbiano insegnato una cosa importante (e questo lo fanno tutti gli animali), cioè quella straordinaria perla di saggezza che è il saper vivere il presente. Quando sei di fronte agli animali per lungo tempo ti rendi conto di come abbiano un alto livello di consapevolezza del momento presente, molto più di noi. E questo li porta ad affrontare la vita con più tranquillità. Una delle cose che si imparano dagli animali è un rapporto completamente diverso con la paura, con la morte. Negli animali la paura è una costante, e ci convivono con tranquillità, il che sembra un ossimoro. Noi cerchiamo in tutti i modi di evitare la paura, di evitare la morte. Loro vivono la vita e la morte come un tutt’uno. Non c’è nessuna ansia di quello che succederà, se succederà. Questo si nota molto anche negli animali che vengono predati, nel susseguirsi del ciclo biologico non c’è mai il cattivo, il buono, la colpa. Tutto avviene in maniera quasi schematica, senza strascichi. Anche dopo la morte di un membro del gruppo tutto può proseguire come prima, tutto si rinnoverà, e si andrà avanti. Per un ansioso come me è una grande lezione.

Approfondimenti:
Il Centro Tutela e Ricerca Fauna Esotica e Selvatica Monte Adone è un’associazione di volontariato che promuove la tutela e la salvaguardia della fauna selvatica autoctona ed esotica. Dal 1989 il Centro è operativo 24 ore su 24, ogni giorno dell’anno, nel recupero della fauna autoctona trovata ferita e in difficoltà e nell’accoglienza della fauna esotica sequestrata dalle autorità giudiziarie per maltrattamento, commercio e detenzione illeciti. E’ un C.R.A.S. (Centro Recupero Animali Selvatici) autorizzato dalla Regione Emilia-Romagna e uno dei tre centri convenzionati con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Oggi il Centro rappresenta un punto di riferimento stabile per cittadini, Enti Pubblici, Forze di Polizia e Vigili del Fuoco. Con l’incremento della presenza del lupo sul territorio italiano e il conseguente aumento dei ritrovamenti di esemplari feriti o in difficoltà, il Centro nel 2012 ha dato vita al Progetto Lupo Monte Adone, con lo scopo di creare un centro di riferimento specializzato nel recupero, nel soccorso, nella cura, nella degenza, nella riabilitazione e nella reintroduzione in natura dei lupi rinvenuti in difficoltà.
In copertina: Ulisse e Achille in esplorazione. Foto Paola Fazzi
About Author / Elisa Mereghetti
Regista documentarista, è tra i fondatori di Ethnos.