Interviste doppie a protagonist* del mondo del documentario in Emilia-Romagna.

Dopo l’intervista agli esperti degli archivi, le cinque domande parallele di questo numero sono riservate a due autori di colonne sonore per il documentario (e non solo). Rispondono Riccardo Nanni e Marco Biscarini

Come ti sei formato artisticamente?

Riccardo: Nasco come pianista classico, diplomato al Conservatorio di Bologna nel 1989. Le esperienze musicali si sono poi spostate radicalmente dalla classica al computer, negli anni dello sviluppo del Midi, con i sintetizzatori alla portata di tutti e la nascita dei primi software di programmazione. Ho cominciato come molti altri a suonare nei gruppi musicali, prendendo confidenza con il pubblico e con gli studi di registrazione, ma anche iniziando a eseguire programmazioni elettroniche per altri artisti. Lavoravo in un supermercato e non credevo ne avrei fatto una professione. 

Una tappa di avvicinamento è stata la breve collaborazione con una casa editrice musicale che spaziava dalla classica alla disco. La svolta vera è stata invece la musica da discoteca di ogni genere, dal latino americano a Mueve la Colita, che ho prodotto e suonato fino agli anni 2000. Successivamente, non trovando più stimoli nei progetti musicali fini a se stessi, comincia il mio lavoro legato al documentario, in maniera molto casuale: intorno al 2003 con le musiche di una miniserie di pupazzi animati per Melevisione, ovvero i Fratelli Grimm che incontravano i personaggi delle loro fiabe. Da lì è partito tutto: mi sono trovato a lavorare per editing sonori, ho conosciuto vari produttori con cui mi sono trovato bene e sono passato alla composizione vera e propria.

Il legame con l’immagine c’è sempre stato. Mio padre mi faceva immaginare tantissimo con la musica, da bambino. Ricordo un episodio in particolare in cui siamo rimasti senza luce per un blackout, con solo una piccola radio a batterie. Per tranquillizzarmi mi descriveva cosa vedeva ascoltando la musica e mi stimolava a fare la stessa cosa. Non ho fatto altro che portare avanti questo concetto, nel senso che tuttora “vedo” le immagini con i suoni, alla mia maniera. 

Una ventina di anni fa ho conosciuto Giusi Santoro, titolare della casa di produzione POPCult, con cui collaboro tuttora, e mi sono trovato a mio agio fin da subito. Si tratta di opere di stampo indipendente ma molto stimolanti, come 1 mappa per 2, l’incredibile storia di un giro del mondo nel 1958 su due moto Ducati.

Non ho fatto molti studi per sonorizzare il cinema ma solo percorsi personali. Devo sempre trovare in un lavoro qualcosa che mi stimoli direttamente, non mi sento un compositore per “mestiere”. Sono molto istintivo, slegato da stili musicali precisi, e, quando posso, mi piace essere ironico.

Marco: Ho studiato composizione, musica elettronica e musica applicata con il Maestro Ballotta al Conservatorio G.B. Martini di Bologna, dove partecipai a quello che fu uno dei primi esempi di musica applicata all’immagine, materia che oggi insegno al Conservatorio di Rovigo. Contestualmente ho frequentato anche il Dams Musica, dove mi sono fatto le ossa per quello che riguarda le capacità analitiche e la critica musicale, creando tutte quelle basi che servono per diventare una figura in linea con i tempi moderni: un compositore a 360 gradi, con attività che variano dalla scrittura alla produzione fino all’uso dell’elettronica. In questa direzione, nel 2003 ho fondato Modulab, studio che si occupa esclusivamente del suono per prodotti audiovisivi come film e documentari.

Perché hai scelto di comporre musica per documentari? 

Riccardo: In realtà è il documentario che ha scelto me. Mi ci sono trovato senza volerlo ma mi ci sono trovato bene. È forse il modo migliore di raccontare storie, in assoluto. Storie semplici raccontate bene sullo schermo diventano affascinanti. Con questo mezzo ho soddisfatto la mia curiosità e concretizzato la mia voglia di mettere musica insieme alle immagini. 

Nel 2009 con Enza Negroni abbiamo realizzato Il pioniere del wireless, racconto in forma quasi teatrale di Guglielmo Marconi, figura che mi affascina tantissimo. E’ stato divertente creare un legame tra il codice Morse all’epoca di Marconi e quello che era allora uno degli strumenti di comunicazione più diffusi: il messaggio storico dell’SOS si trasforma in SMS grazie a una colonna sonora a tema ritmico. Un altro lavoro molto bello di quel periodo è La signora Matilde, dove sono riuscito ad essere più pop e più ironico di quanto mi aspettassi.

Mi piace molto ascoltare quello che il regista vede, cercando di esprimere i suoi sottotesti, e capire cosa ama, il contributo che si aspetta da te. Mi interfaccio molto con i suoi racconti ed ascoltarli è una parte tra le più stimolanti della mia attività. Non faccio mai completamente di testa mia. Metto avanti l’istinto per trovare l’idea migliore e trasmetterla attraverso le immagini: funziona se il messaggio arriva allo spettatore.

Marco: Il documentario è per me un importante spazio di ricerca. Rispetto al cinema, che è più vincolato alle necessità del prodotto industriale, lascia libera la possibilità di sperimentare nuovi linguaggi e tecnologie che ho poi sviluppato e concretizzato nel cinema “drammaturgico”.

Sin dal 2005, anno di inizio di un bel percorso in cui ho musicato parecchi titoli, mi è sempre piaciuto passare dal film al documentario, alternando quando posso i due linguaggi. Oltre alla composizione c’è anche il lavoro di sound designer e sonorizzazione, come ad esempio il recente Gli anni che cantano, prodotto da Genoma Films e dedicato al gruppo musicale bolognese Canzoniere delle Lame.

Quali sono i tuoi legami con il territorio emiliano-romagnolo?

Riccardo: Mi trovo benissimo nella mia città, Bologna. Ci sono tante persone con voglia di fare, crescere e proporre storie. Lavorativamente mi sono spostato più per il teatro, attività che svolgo parallelamente a quella del musicista. Con la compagnia Instabili Vaganti, per la quale mi occupo di tutta la parte sonora degli spettacoli, abbiamo viaggiato parecchio. Ho anche una piccola esperienza sul palcoscenico, in una commedia musicale ambientata negli anni ’30 dove interpretavo il pianista di un locale, suonando insieme ad attori che si esibivano cantando a cappella.

Una bella contaminazione è quella che abbiamo tentato nella docufiction Il drago di Romagna, storia del Mah Jong a Ravenna con la regia di Gerardo Lamattina. Ho contattato la famiglia Casadei per avere il permesso di rielaborare l’intramontabile Romagna mia in maniera completamente diversa: da 3/4  a 2/4, con un ritmo ska ed echi balcanici. Nel film viene addirittura cantata in cinese, durante una cena a tavola.

Marco: Sono nato, cresciuto e ho studiato a Bologna. Anche se oggi vivo a Rovigo, il mio studio ha sede a Casalecchio di Reno, perciò il legame è sempre stato fortissimo e sono davvero fiero di questo. Ho visto nascere la legge sul cinema della Regione Emilia-Romagna e ho assistito a tutti i suoi sviluppi pionieristici. Oggi è diventata una bella realtà che permette di esistere a tante case di produzione.

Mi sono reso conto di essere un compositore emiliano-romagnolo solo quando mi è capitato di lavorare a Roma. Il cinema è molto “romano” e spesso ho pagato in vari modi le conseguenze di questa radicata appartenenza alla mia regione.

Chi o che cosa ti ha maggiormente ispirato nel tuo percorso professionale?

Riccardo: La prima ispirazione è stata il buio, come esperienza di bambino, con la musica di sottofondo ho avuto innumerevoli emozioni che mi hanno portato a comporre musica. All’inizio avevo voglia di suonare dal vivo ma invece oggi mi ritrovo sempre chiuso in studio, forse più per una forma di timidezza che altro. Ho avuto esperienze con cover band e ho suonato in orchestre da ballo. Quest’ultimo è stato un passaggio molto educativo per me in quanto la balera, oltre che formativa musicalmente, mi ha sempre dato un senso di appartenenza al mio territorio difficile da trovare altrove.

Sono perdutamente innamorato di Nino Rota, per me il compositore più affascinante, ma non posso dire di non aver amato Morricone. Molti mi hanno lasciato tracce e stimolato sia per l’immediatezza sia per i messaggi musicali, ma Nino Rota ha sempre avuto quella semplicità, quella ironia e quel gusto in cui mi ritrovo idealmente.

Marco: Ho avuto modo di studiare per 5 anni con Ennio Morricone all’Accademia Chigiana di Siena e questo mi ha indubbiamente indirizzato più di ogni altra cosa a cimentarmi nel campo della composizione cinematografica.

Sono molto curioso e possiedo una formazione a 360 gradi, con una particolare attenzione ai nuovi linguaggi musicali per il cinema, che cerco anche di insegnare ai miei studenti. Spazio dall’elettronica alla composizione senza dimenticarmi i grandi classici. Sono attento a quello che succede tra i contemporanei,  e ultimamente sono oggetto del mio studio i lavori di Max Richter e  Jóhann Gunnar Jóhannsson.

Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Riccardo: In sospeso ho un progetto con Marco Bolognesi, artista bolognese transmediale, dal titolo Undream. Doveva svolgersi durante la manifestazione Arte Fiera, evento sospeso per Covid. Da un certo punto di vista sono felice che sia saltato per avere ancora più tempo per lavorarci sopra. Si parte da una serie di spezzoni di pellicole non restaurate e mescolate da film che Marco ha dipinto, colorato e montato creando un trait d’union. Sarà un evento che vedrà insieme musica dal vivo, proiezioni e sound design.

Con la Bomar Studio di Marco stiamo lavorando a una serie di documentari a carattere distopico basate su animazioni realizzate dal suo assortimento di dipinti, fotografie e plastici e poi rielaborate al computer. Da qui alla fine dell’anno sarà ultimato.

Con Michele Fasano sto iniziando un lungometraggio di animazione, in veste di sound designer.

Marco: Proprio in questi giorni sto ultimando le musiche di Bella Ciao di Giulia Giapponesi prodotto da Palomar Doc, che racconterà tutta la storia del celebre brano. La casa di produzione Palomar ha da poco aperto la sua sezione documentaristica proprio a Bologna, dando un grande segnale sulla vitalità del settore in questa città. Con loro c’è un progetto per un documentario sulla vicenda della piccola Denise Pipitone.

Sono anche in attesa del nuovo film di Giorgio Diritti, con cui ho già lavorato più volte in passato. La produzione inizierà nella primavera del 2022.

In copertina: Riccardo Nanni e Marco Biscarini