Visioni, memorie, territori. Emiliodoc racconta anche le esperienze di valorizzazione del territorio regionale (in questo caso si tratta dell’Appennino tosco-emiliano) che passano dalle storie delle persone, dal ricostruire pazientemente, minuziosamente, i percorsi di tante piccole vicende individuali. Vite di gente di montagna che, a ben vedere, hanno molto da insegnarci. Come la storia di Armanda Fiorini, maestra d’Appennino.

Nel suo libro Storia di una maestra d’Appennino, pubblicato da Gruppo Albatros Il Filo e dedicato alla figura della madre Armanda, Rosa Maria Manari (per tutti Rosi) parte dalla storia della sua famiglia per raccontare non una ma tante storie. Innanzitutto la storia dell’Appennino, a sua volta intrisa della Storia del nostro Paese.

Rosa Maria Manari durante la presentazione di "Storia di una maestra d'Appennino", Librerie.coop Zanichelli di Bologna
Rosi, qual è stato il motore che ti ha spinto a scrivere questo libro?

Sicuramente il bisogno di mettere ordine nelle sollecitazioni, nei pensieri, nel patrimonio che mi era arrivato dalla mia famiglia. Ma anche rendere onore ad una storia d’Appennino che attraverso la storia della mia famiglia si snocciola. E contribuire a far capire quanto è importante proteggere la propria storia piccola nel mare della vita, perché è il salvagente al quale aggrapparsi continuamente, è quello che ti tiene a galla. È quello che dà senso alla tua vita, alle cose che fai, il motivo per cui sei fatto così, e che non è una cosa che nasce dal nulla, ma è il frutto di una serie di circostanze messe in fila come delle carte da gioco da quelli che ti hanno preceduto. E questo dà un senso a quello che fai, ti fa capire che tu fai quelle cose lì, sei fatto così, perché prima di te qualcuno ha fatto delle cose in un certo modo. Cioè restituire a tutti quelli che hanno una storia piccola l’onore di una storia grande. Tutti noi abbiamo una storia piccola, ma è pur sempre una storia grande.

La scuola di Busana (RE) negli anni '50. Foto di Sveno Manari

Ciò che traspare, attraverso le vicende di questa famiglia dell’Appennino tosco-emiliano, è, infatti, un’Italia piccola, fatta di realtà di cui il nostro paese è ricchissimo e che ne formano l’essenza. È l’Appennino, che nel suo correre lungo la penisola può esserne considerato la spina dorsale, così come l’Italia dei luoghi piccoli e talvolta dimenticati ne è la parte più intima. Un luogo custode delle radici che legano e, al tempo stesso, fanno partire, e nel quale l’oblio della “grande Storia” ha consentito di mantenere viva la memoria della terra.
Le vicende che prendono vita in queste pagine sono le stesse di altri luoghi d’Italia: raccontano lo sforzo di realizzare una crescita culturale che non rinneghi le proprie radici, che permetta la convivenza di ideologie e posizioni politico-religiose diverse rimanendo famiglia e comunità, che evochi l’importanza di partire, per poi scegliere di tornare. In primo piano, la vicenda di Armanda, una donna a cavallo fra la guerra e il periodo della rinascita democratica, segnata dalla caparbia volontà di essere protagonista del proprio percorso.
Tra le pagine, il racconto di una famiglia, quella di Rosa Maria, che ha lavorato molto per questa terra. Primi fra tutti, i genitori, entrambi maestri, che fra le sperdute montagne hanno sognato e realizzato, assieme ad altri come loro alla fine degli anni ’60, una scuola diversa, dove lo scrivere e il far di conto potesse andare a fianco della storia della terra, affinché i ragazzi potessero sentirsene cittadini.
In controluce le tante altre storie che ruotano intorno ad Armanda e che paiono attraversare il tempo: le matriarche di un’aia con i loro saperi antichi, gli emigrati in America che tornano una volta all’anno, i comandanti partigiani divenuti anziani, i ragazzi degli anni settanta che lasciano la montagna, gli uomini del paese e i dibattiti di politica davanti al bar…

Vicolo di Nismozza (RE)
Scorcio dell'Appennino reggiano
Se dovessimo trarre un insegnamento dalla storia di tua mamma, maestra d’Appennino, quale potrebbe essere?

Sicuramente la caparbietà di raggiungere un obiettivo. In questo caso a maggior ragione essendo lei una donna, perché studiare nel primo dopoguerra per una donna non era così semplice, così scontato. Quindi la volontà di lottare, di vivere e di mettere tutta la propria energia per diventare quello che si vuole essere, proteggendo le cose che si amano di sé.

E dal suo lavoro di maestra?

Come maestra credo che Armanda ci possa trasmettere una cosa molto importante, ancora oggi: un modo di insegnare stando molto vicino ai ragazzi, mettendosi nella condizione di imparare anche da loro. Si parte sempre dal presupposto che l’insegnante debba insegnare, invece nel loro caso specifico (il caso di mia madre ma anche di mio padre, di cui racconto anche nel libro) la cosa bella è stata vivere una professione che diventa tale e cresce con il contributo dei ragazzi, non a prescindere da loro….

Un sentiero a Nismozza (RE)

Tante cose avvennero nella vita dell’Armanda quell’anno. Prima il moroso e, poi, il primo incarico da maestra, appena diciassettenne.

Fu proprio in quell’anno, infatti, che diventò maestra di Casale, un paesino a circa tre chilometri da Busana, dove il Comune aveva aperto una scuola sussidiata, cioè comunale.

E lì lei non era solo la maestra di Casale.

Era la prima maestra di Casale […]

Per raggiungere Casale, Amanzio le aveva comprato una bici, che le serviva però giusto ad arrivare a Busana, perché dopo bisognava prendere il sentiero del bosco e lì la bicicletta non serviva più. […]

Quel tragitto l’Armanda non lo faceva volentieri, perché si trattava di inoltrarsi proprio all’interno delle foresta e lei non si sentiva poi così sicura. Pochi minuti dopo aver imboccato il sentiero, lì, la foresta si fa scura, piena di muschio e la vegetazione si infittisce.

Quella parte di bosco è, infatti, particolarmente umida e piena di caverne e anfratti.

A tratti può addirittura risultare vagamente inquietante.

E poi c’erano tutti quei fruscii a destra e a sinistra e quella vaga sensazione di essere osservata che fanno i boschi rigogliosi. Forse perché, in realtà, sono proprio i mille occhietti che ti osservano quelli che avverti.

Anche se tu non li vedi, mentre passi avrai puntato addosso lo sguardo di un animale selvatico, o sarà un uccello a sbirciarti dai rami.

Questo tragitto, fatto un po’ con il cuore in gola e lo sguardo che correva di qua e di là, la faceva arrivare a destinazione un po’ trafelata e la cosa non passava inosservata.

Di questo timore si accorsero ben presto i bambini della scuola, che presero ad andarle incontro tutte le mattine e ad accompagnarla a fine giornata.

“Siamo qui, maestra!”

si sentiva gridare dal fondo del bosco quando la banda di ragazzini intravedeva la sua sagoma in arrivo dal sentiero.

E l’arrivo al Casale era tutto un saltabeccare di bambini attorno alla maestrina.

“Sai, maestra, che è nato un vitellino? Lo sai che a Luigino gli si sono rotti i due denti davanti perché è volato giù da un ciliegio? Lo sai che è morta la nonna della Sara?”

Erano loro gli anticipatori delle novità del paese. Prima ancora che lei mettesse piede al Casale sapeva già cos’era successo il pomeriggio e la sera prima.”

Tratto da “Storia di una maestra d’Appennino” di Rosa Maria Manari

Note:

Rosa Maria Manari è laureata in Storia antica all’Università di Bologna e ha coltivato la ricerca storica legata in particolare alla sua terra d’origine, l’Appennino reggiano. E’ autrice di altre pubblicazioni, oltre a diversi articoli. 

In copertina: Armanda Fiorini (foto Sveno Manari).