Interviste doppie a protagonist* del mondo del documentario in Emilia-Romagna: i piloti di drone

Antonio Pomponi dell’Associazione Volo Radente (Bologna) e Tommaso Solfrini di Italdron (Ravenna) raccontano la loro esperienza nella ripresa con drone.

Che tipo di formazione è necessaria per diventare Operatore drone?

Antonio: Io ho iniziato circa 10 anni fa, era tutto un altro periodo. Adesso è cambiato tutto, con la nuova regolamentazione europea, ci sono altre leggi. Comunque dieci anni fa io ho frequentato l’Accademia del Volo a Bologna. Lì ho fatto un percorso di formazione di due mesi, con esame finale, per avere il patentino per guidare il drone. Alla fine del corso abbiamo fatto un esame teorico e poi un esame pratico su un campo volo certificato.

Tommaso: Per diventare pilota UAV la differenza sostanziale la fa il tipo di drone che si utilizza quindi il peso, le caratteristiche e dove lo si fa volare. Un esempio pratico: si può volare in aree extraurbane dove non ci sono case o persone o infrastrutture, edifici, strade o qualsiasi altra cosa con un livello di abilitazione semplificato, perché in questo caso il rischio è basso. In prossimità di zone più complesse, come i centri cittadini e le zone aeroportuali, si può volare solo se si è in possesso di abilitazioni e autorizzazioni per accedere a quell’area, che devono essere rilasciate direttamente dalle autorità aeronautiche che gestiscono la sicurezza aerea. Un’altra discriminante è il peso del drone: ci sono droni molto leggeri, quasi come se fossero dei giocattoli, sotto i 250 grammi per intenderci, che hanno delle facilitazioni per poter volare. Magari invece per un drone dal peso di 2 kg c’è un livello di abilitazione ancora diverso e per uno che pesa 10-15 Kg ce n’è uno ancora diverso. Esistono anche droni di 20, 30 e 50 kg! ”.

Cosa trovi più affascinante di questo mestiere?

Antonio: Per me la cosa affascinante è che si gira tantissimo, si conoscono molte persone. È un lavoro che ti dà tantissimi sbocchi perché si sviluppa su più campi. Posso citare tanti tipi di lavoro che ho fatto: documentari, film, pubblicità, matrimoni, collaborazioni con l’Arma dei Carabinieri. Quindi una grande varietà di commesse e di luoghi.

Tommaso: Indubbiamente il volo. Si vola, si vola con i piedi per terra. La cultura aeronautica comprende il volo ma anche l’attenzione per la sicurezza. Non c’è nulla di improvvisato né di casuale. L’altra cosa affascinante è che è un settore che si evolve in continuazione, molto dinamico sia dal punto di vista tecnologico che dal punto di vista normativo, ma soprattutto per quanto riguarda le possibilità che i droni offrono per migliorare alcuni modus operandi. Le cose più ovvie sono le riprese: se prima dovevamo pensare di utilizzare un elicottero, o una steadycam, o banalmente una gru o un crane, oggi i droni hanno in parte sostituito queste tecnologie a vantaggio sia di una maggiore dinamicità ed emozionalità della ripresa che di costi senz’altro più accessibili. Oggi chiunque si può permettere un drone mentre dieci anni fa nessuno poteva permettersi di comprarsi un crane, una steadycam o una camera con alte prestazioni compatta e performante. Quindi sicuramente la tecnologia evolve, evolve l’accessibilità, che migliora così come la sicurezza.

Lavorate spesso con società di produzione regionali? Qualche esempio di produzioni importanti?

Antonio: Tra le produzioni regionali posso citare ad esempio la Mammut Film, ma lavoro molto anche con le produzioni nazionali. Diciamo che funziona così: le produzioni nazionali che devono venire a girare a Bologna hanno una lista di nomi e mi contattano, perché sanno che sulla piazza di Bologna ho delle recensioni buone, quindi quando arrivano a lavorare da fuori mi chiamano. Un esempio è la società 2A, la casa di produzione dei fratelli Avati, che ha sede a Roma, anche se Pupi Avati è bolognese. Mi hanno contattato quando sono venuti a girare un film a Bologna, il titolo è Il fulgore di Dony, e lì ho lavorato con Pupi Avati. Pensa che l’apertura, la scena iniziale del film è fatta proprio con il drone. Si svolge in piazza San Domenico a Bologna. Il drone viene giù dai tetti, planando, con l’obiettivo sempre fisso sulla protagonista, finché lei non entra nel portone, poi da lì prende il via la storia. È stato molto difficile tecnicamente, una delle riprese più difficili che ho mai fatto, tant’è vero che quando il Maestro mi ha spiegato cosa voleva fare io l’ho guardato e gli ho detto: “Non so se riesco…” e lui mi ha detto. “Proviamo”. Abbiamo provato tre ciak e al terzo ce l’abbiamo fatta.

Tommaso: Abbiamo contribuito in varie occasioni a fornire materiali per produzioni italiane, collaborando con Rai, Netflix e altri, e per produzioni estere, che spaziavano dai programmi della televisione inglese e cinese ai reality di Bear Grylls. Abbiamo lavorato anche per etichette musicali facendo video riprese di artisti nazionali e internazionali. Devo dire che in questi ultimi anni la nostra attività non è stata molto improntata sulla cinematografia, spostandosi più sull’impiego tecnico dei droni, anche se la cinematografia è il primo settore che abbiamo visto crescere e il primo a cominciare a sfaldarsi. Perché purtroppo c’è il rovescio della medaglia di quella che è l’accessibilità alla tecnologia e la facilità di utilizzare un drone: la tendenza ad offrire dei servizi di un livello qualitativo magari sempre più al ribasso a fronte di una convenienza economica.
Si può dire che è un settore abbastanza inflazionato, c’è abbastanza abusivismo, con poca professionalità e non tutti i committenti sanno riconoscere le cose. Per esempio, quando acquistano una ripresa fatta da un drone non si chiedono come è stata fatta e se chi l’ha fatta ha rispettato le regole. In questo caso il committente potrebbe incorrere in sanzioni ben più onerose rispetto a quelle cui andrebbe incontro lo stesso autore della ripresa. Questo ovviamente crea complessità a posteriori e comporta dei rischi maggiori. Quindi anche lavorare nel settore delle riprese cinematografiche diventa sempre più complicato ed è il motivo per il quale non è più il core business della nostra impresa.

In cosa si differenzia il vostro lavoro tra fiction e documentario?

Antonio: C’è una grossa differenza nel senso che nei lavori di fiction ti fanno spesso inseguire il personaggio, e questo è una cosa molto difficile perché il drone è un aggeggio pericoloso se ti arriva in faccia. Quindi la tensione è ai massimi livelli. Un documentario in genere è più semplice, se devi riprendere ad esempio un’abbazia, un monumento o un’area geologica è tutto più facile, giri a quote diverse, non ci sono persone. È tutta un’altra cosa.

Tommaso: Nel caso del documentario si fanno riprese dove tendenzialmente non c’è un soggetto e se c’è è più un soggetto effimero, mentre nella fiction ci sono diverse tipologie di riprese, ad esempio quelle dove ci sono i protagonisti e quelle dove ci sono le classiche panoramiche che vengono utilizzate in apertura o in chiusura di una scena per fare un cambio. Dipende ovviamente dalla regia e da chi coordina questa attività. Nel primo caso è un lavoro un po’ più libero purché sia d’impatto, mentre nel secondo si fanno varie prove dato che spesso la regia ha delle idee molto nette e molto chiare, forse anche troppo chiare a volte! Poi dipende anche dalle produzioni, ci sono produzioni che ti danno più libertà espressiva, mentre altre in cui sei un mero esecutore di cose che ti vengono richieste.

Quali sono secondo te gli sviluppi futuri di questo settore?

Antonio: Il futuro non lo vedo molto roseo, per un semplice motivo: quando ho iniziato io 10 anni fa eravamo pochissimi, in Emilia-Romagna ci contavamo proprio sulle dita di una mano. Adesso con il cambio della regolamentazione e con i droni di ultima generazione che pesano 240 grammi con riproduzione in 4K, mini droni ad alta tecnologia che anche se cadono non fanno nessun danno, è tutto diverso. Per questi droni non serve più l’abilitazione, chiunque abbia un po’ di dimestichezza può fare matrimoni, servizi, eventi. Quindi il futuro non lo vedo molto roseo, per chi è da tempo nel settore come me.

Tommaso: Penso che oggi tutto quello che si sta facendo lo si sta facendo sempre dopo che è già successo, a posteriori. Per me invece sarebbe importante implementare l’utilizzo dei droni a livello di prevenzione in generale, dato che è uno strumento che si presta molto a svolgere questa funzione, proprio per l’economicità e i vantaggi che offre. Questo a livello sia territoriale, che ambientale, che di qualsiasi altra cosa, come il controllo delle infrastrutture stradali banalmente: noi siamo sempre stati consapevoli del fatto che i droni possono facilitare di molto l’attività di indagine ispettiva e le verifiche, però poi se ne parla sempre troppo e si usa sempre troppo poco. Poi succede quello che siamo abituati a vedere no? Ponti che crollano, strade che cedono o con enormi falle…
Comunque credo che ciò che sia più importante, sia dalla parte dei committenti che da quella di chi propone i servizi, è che l’elemento fondamentale che bisogna tenere in considerazione è la professionalità. E la professionalità è frutto di studio, di esperienza sul campo, ma anche di preparazione e requisiti. Perché i droni sono strumenti molto semplici da utilizzare finché va tutto bene. Per evitare di correre rischi ci vuole formazione. Magari uno non lo sa e si butta sempre sul settore cinematografico, che è un mercato molto inflazionato e competitivo, senza sapere che ci sono altri settori di utilizzo del drone che hanno possibilità a non finire. In realtà le riprese sono la punta dell’iceberg del mercato, dato che i droni oggi vengono utilizzati anche per scopi più nobili, come ricerche di soccorso, unità di controllo del territorio, rilevazioni 3D di edifici e di aree urbane che devono essere correttamente digitalizzate per finalità catastali, cartografiche, valutazioni del dissesto idrogeologico, controllo ispettivo di infrastrutture stradali. Insomma ce ne sono molte di cose che si possono fare con i droni.

In copertina: Antonio Pomponi e Tommaso Solfrini