Invitati nel gennaio 2018 dall’ANPI provinciale a pensare a un progetto che coinvolgesse i giovani artisti allievi dell’Accademia di Belle Arti, avvicinandoli alla storia e alla memoria della Resistenza a Bologna, ciò che subito, a me e a Gino Gianuizzi sorse spontaneo proporre, come curatori, fu un lavoro che, partendo da semplici ricordi e oggetti affettivi e quotidiani, memorie intime, foto, senza enfasi né retorica, avvicinasse i giovani di oggi ai loro coetanei di settant’anni fa e si sviluppasse attraverso azioni e segni caldi di vita e di un’energia rinnovata e in movimento. In questo, come sempre nelle nostre pratiche di interventi negli spazi pubblici, nessun limite di linguaggi o di tecniche artistiche, libertà espressiva ma rigore formale nel riportare la grande ricchezza di emozioni e di scoperte assorbite attraverso i vari incontri. 

Matteo Alessandro D’Antona, Parco di Villa Spada, antistante la biblioteca Tassinari Clo
Margherita Raponi, Azione durante l’inaugurazione al Museo della Resistenza – Istituto Parri, in via Sant'Isaia

Dopo quell’invito iniziale, nel corso del laboratorio “Dalla rappresentazione all’azione”, propedeutico alla progettazione negli spazi pubblici e alla Public art che teniamo annualmente in Accademia, in una serie di incontri con Jadranka Bentini, Mauria Bergonzini e Maria Rosa Pancaldi dell’ANPI, anticipati da ricerche di archivio, passeggiate e interviste,  sollecitammo i nostri studenti a misurarsi con quelle memorie, a trarre fuori dall’oblio materiali dimenticati, a rileggerli riattualizzandoli e a disseminarli nella città, coinvolgendo e trasformando gli spazi pubblici del nostro quotidiano muoverci. 

 

Sara Ayesa e Ana Ferriols Montanana, Parco Marco Biagi, Pianoro
Matteo Alessandro D’Antona, Parco di Villa Spada

I temi sui quali ci concentrammo, perché rimasti spesso in ombra, furono l’attività di stampa clandestina e il ruolo in essa delle donne, attive nella produzione, trasporto e diffusione di fogli, giornali e volantini; le donne, per le quali la lotta partigiana più spesso non si svolgeva lontana e distaccata dalla vita quotidiana, dal lavoro e dalle occupazioni di ogni giorno. È proprio nelle battaglie delle donne di allora e nella creazione di reti per far circolare idee e organizzare azioni, sostenute dallo spirito di un’azione collettiva che si nutriva di ideali e solidarietà, che è iniziata una riflessione al femminile che poi ognuno avrebbe declinato in modi diversi, seguendo quella che Valeria Babini, in un bel libro pubblicato proprio mentre lavoravamo a questi temi, Parole armate, chiama la “curvatura della propria anima”. Ciò che tutte le donne in quel periodo accomunava era la consapevolezza che indietro non si potesse più tornare, e quelle parole “armate” avrebbero continuato ad essere il lievito per la conquista dei diritti del futuro.

La sfida del progetto Segni di resistenza fu il suo voler essere in progress, il suo divenire in un dialogo continuo con ANPI, Accademia e città, cercando di cancellare i limiti fra spazi pubblici interni ed esterni, e fornendo altre chiavi di lettura alla luce della contemporaneità. 
I giovani artisti furono invitati a pensare azioni e installazioni capaci di sollecitare la memoria in modo critico, creativo e vitale, e capaci anche di creare vicinanze con le storie che ci venivano narrate, con i primi oggetti e i reperti che ci venivano offerti, rielaborando voci, ideali e speranze che dalla distanza temporale ritornassero a noi nutrendo la nostra Resistenza quotidiana, in un momento della nostra storia che si profilava (e ahinoi si profila ancora) sempre più buio, incerto e rischioso per il futuro.

Alessandra Carta, "Impulso", adesivi in vari numeri civici di edifici di Bologna

Obiettivo primo, per tutti, “comprendere”, nel duplice significato di conoscere, capire, ma anche annettere, spazialmente ed emotivamente, includere, partecipare e far partecipare anche criticamente, cosa questa che a mio avviso dovrebbe sempre cercare di fare l’arte che interviene negli spazi pubblici, creando relazioni, coinvolgimento, condivisione, rispetto e cura attenta. Nel far questo, naturale ci sembrò aprire il raggio di azione e coinvolgere le biblioteche di Bologna, luoghi di conservazione, formazione del pensiero e di cultura, e le istituzioni depositarie della memoria e del suo tramandarsi, come l’Istituto Parri con il Museo della Resistenza che ha ospitato la prima mostra e dal quale, nel dicembre 2018 furono lanciati i primi “segni”, poi la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, l’Assemblea Legislativa Regionale e l’Archivio Comunale. Istituzioni queste nelle cui collezioni permanenti sono poi entrate, per donazione, alcune delle opere: Il silenzio del ricordo, il libro-oggetto di Matteo Alessandro D’Antona al Parri, la Mappa tessile di Francesca Acerbi all’Assemblea Legislativa e Impulso, la mappa di Alessandra Carta all’Archivio Comunale.

Peculiarità di molti dei lavori artistici frutto del progetto è stata il loro rinviare al tempo lungo di una “tessitura”: la rete di filo di cotone rosso che Roberta Cacciatore ha intrecciato sulle scale del Parri invitava a leggere le pagine del diario giovanile di Luciano Bergonzini, studente universitario e partigiano. “Perché si sappia” è la prima frase del diario. Scritta su una pagina bianca, isolata dalle altre, introduce un racconto intimo, la storia di un gruppo di amici, ma anche collettivo, perché parla della guerra sanguinosa che distrusse il nostro paese. “Perché si sappia” era la motivazione che aveva spinto Bergonzini a scrivere su quel quaderno che ci arrivava allora, inedito. E il suo destino, dopo tanti anni di silenzio, è quello di essere letto, ricordato, divulgato. Quel filo rosso intrecciato nello spazio creava nella tromba della scalinata d’accesso al museo della Resistenza “una trappola per la memoria”. Centinaia di fogli, copie delle pagine del diario di Bergonzini, completavano l’installazione, legati al filo. Il contenuto del diario veniva divulgato in buste di carta contenenti frammenti del testo che, in maniera casuale, erano poi scelte e lette dal pubblico durante l’inaugurazione. La storia, così ricomposta, raccontata, frammentata come una costellazione, era tenuta insieme dal filo rosso e riportata in vita da più voci.

Francesca Acerbi, "Mappa tessile", parco di Villa Spada
Sara Ayesa e Ana Ferriols Montanana, "Breccia", area antistante la biblioteca Spina del Pilastro

La mappa di Bologna tessuta da Francesca Acerbi con feltro ad ago ha collegato sedici luoghi della stampa clandestina con il ricamo, anche qui con filo rosso, dei nomi delle donne attive in essa. 

Con l’opera Impulso, di Alessandra Carta, alcuni adesivi con il simbolo della resistenza elettrica sono stati collocati in luoghi che riguardavano la Resistenza storica (là dove c’erano delle sedi di tipografie della stampa clandestina, altri luoghi legati alle donne partigiane) e istituti pubblici che avevano aderito al progetto (con ANPI e Accademia di Belle Arti, tutte le biblioteche di Bologna e, nell’area metropolitana, la biblioteca di Pianoro). In tal modo si era creata una connessione tra questi luoghi, un circuito urbano “elettrico” veicolo dell’energia prodotta dalle persone, dai pensieri e dalle idee, del passato e del presente, in un unico flusso senza tempo. Proprio come in un circuito elettrico vero e proprio, le resistenze-luoghi, collegate in serie o in parallelo, consentivano il passaggio della corrente, un’energia che dal generatore (ANPI) si propagava alle altre parti del circuito urbano, generando calore, metafora di quel calore umano che risulta sempre più minacciato. La sua mappa e gli adesivi, dall’inizio del progetto e per tutto l’anno, hanno segnato, creando un “ordito di relazioni”, i vari luoghi coinvolti. 

Una visionaria segnaletica stradale, nelle aree verdi di 12 biblioteche, riprendendo alcuni dei lavori artistici in mostra (di Matteo Alessandro D’Antona, Sara Ayesa e Ana Ferriols Montanana), ci restituisce, come “reperti” di un archivio diffuso, il frontespizio dell’inedito diario di Luciano Bergonzini, la camicetta rossa da parata di Vinka Kitarovic o la sua foto in bicicletta, da giovanissima staffetta, il frontespizio del primo numero del periodico “La voce delle donne” del 20 dicembre 1944 e alcuni volantini ciclostilati dell’epoca, riattualizzati attraverso una serie di cancellazioni che rintracciano ed evidenziano, in quel reperto antico, temi della nostra attualità.

Matteo Alessandro D'Antona , il silenzio del ricordo
Alessandra Carta, "Impulso", adesivo, ingresso Biblioteca Tassinari Clo

In una serie di laboratori fra Pianoro e Bologna Denise Guiotto ha costruito nuove e contemporanee “Storie Resistenti”, fatte di rime, pensieri, frammenti di narrazioni che hanno continuato per molti mesi a trasformarsi in una riflessione aperta sul presente.

I giovani di allora e quelli di oggi insieme, attraverso una memoria che diventa tessuto di conoscenza, formazione e azione.

La Storia grande e le storie quotidiane di allora sono tornate a parlarci attraverso gli sguardi, le azioni e le rielaborazioni dei nostri allievi: le voci dei partigiani Renato Romagnoli, “Italiano”, e Lino Michelini, “William”, ci hanno raccontato la battaglia di Porta Lame nelle sale del Parri, nell’installazione audio di Gabriella Presutto; i racconti “sussurrati” delle tante donne partigiane raccolti nell’installazione audio Risonanze di Elisa Perrone o nel video Piano nobile di Beatrice Caruso; i volantini di Margherita Raponi, riportati all’attualità del presente; il libro-archivio “tattile” di Matteo Alessandro D’Antona, che si chiude in una scatola metallica ma si apre in poetico leporello, libro dinamico che attraverso ombre e rifrazioni si allarga allo spazio attorno.

Roberta Cacciatore, "Perché si sappia"

In copertina: Matteo Alessandro D’Antona, al Pilastro, Parco antistante la biblioteca Spina