Infinito – l’universo di Luigi Ghirri
Infinito – l’universo di Luigi Ghirri propone uno sguardo inedito e partecipato sul grande fotografo reggiano. Elisa Mereghetti ha chiesto al regista Matteo Parisini di raccontare genesi e approccio di questo film documentario.

Il tuo film ha avuto un lancio “dirompente”… raccontaci un po’.
Il film è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione “Freestyle”, poi in altre proiezioni a evento in giro per l’Italia. Siamo stati praticamente ovunque, riscontrando molto interesse. Tutte le proiezioni sono risultate sold out.
Il film è tuttora molto richiesto, stiamo continuando a fare presentazioni in giro per l’Italia. A maggio sarà in onda su Rai 5, per un paio di mesi, poi tornerà nuovamente su Sky Arte.
Perché hai voluto fare un film su Ghirri e qual è la chiave di lettura che hai adottato?
Sono un grande appassionato di fotografia, e Ghirri è sempre stato un mio punto di riferimento. Diciamo che l’idea del film è nata dopo la lettura di un libro, Niente di antico sotto il sole, che raccoglie gli scritti di una vita di Ghirri, il quale oltre a essere un grande fotografo era anche un grande scrittore, un filosofo dell’immagine. Scriveva per riviste, giornali e libri, ma anche per se stesso. A partire da questa lettura ho trovato la chiave narrativa: raccontare Ghirri in prima persona (cioè Ghirri stesso che si racconta) per fare un viaggio nella sua arte ma soprattutto un viaggio umano; raccontare la persona per riuscire ad andare più in profondità e comprendere meglio il suo percorso artistico.

Ti sei soffermato anche sugli aspetti biografici?
No, il documentario non è un biopic tradizionale, nel senso che non segue una cronologia ben definita, anzi va avanti e indietro nel tempo. Quello che mi interessava era evidenziare alcuni temi cari a Ghirri, che coinvolgevano sia la sua vita personale che artistica, come la memoria (vista in chiave fantastica), la ricerca di un’identità, la ricerca sul paesaggio (non tanto come paesaggio fisico ma come paesaggio della mente) e tutto il mondo che era intorno a lui, cioè tutte le persone che sono state importanti per lui e che lo hanno accompagnato dal punto di vista professionale e artistico. E sono tutte persone molto diverse tra di loro. Questa era una grande ricchezza di Luigi, che amava frequentare persone diverse, per lui gli incontri erano fondamentali per la sua crescita umana e artistica.
Il documentario procede in parallelo su questi due livelli: gli “incontri”, cioè le interviste, dialogano sempre con il racconto in prima persona, con la voce narrante di Stefano Accorsi. Il testo di questa voce narrante è tutto tratto da spezzoni di testi di Ghirri.
Sono scritti di vari periodi o di un periodo in particolare?
No, Luigi Ghirri ha scritto per tutta la vita, quindi questi sono scritti di vari periodi, che lui faceva su commissione per quotidiani o riviste, specializzate e non (scriveva anche per la Repubblica o il Touring). Non erano solo articoli sulla fotografia, ma parlavano anche di vita vissuta. Ci sono anche presentazioni di suoi libri fotografici, o di mostre, o interviste, o anche scritti che faceva per se stesso, tipo diario.

Parliamo dell’aspetto fotografico del film. Com’è strutturato visivamente?
Per l’approccio fotografico ho fatto una scelta precisa: le mie riprese sono quelle agli intervistati, quello che chiamiamo gli “incontri”. Tutto il resto del film è composto dalle fotografie di Ghirri, e rappresenta il mondo visto attraverso i suoi occhi. Ci sono poi due tipologie di repertorio: una è il materiale girato negli anni Novanta dalla casa di produzione bolognese Pierrot e La Rosa, che già aveva prodotto alcuni documentari con Gianni Celati a cui aveva partecipato anche Ghirri, e che aveva in previsione di fare proprio un film su Ghirri, che purtroppo è mancato prematuramente. Questo girato, sotto forma di appunti, è rimasto inedito per tutti questi anni. Mi è stato gentilmente concesso e l’ho usato nel film. Sono riprese in cui Ghirri va in giro per la pianura a fotografare. Poi ci sono alcune sue interviste fatte in quel periodo, sia in video che in audio, e alcuni filmati di famiglia girati da Ghirri stesso. Poco prima di morire Luigi aveva cominciato a sperimentare con la telecamera, “usando” la sua famiglia per questi esperimenti. Sono molto riconoscibili, c’è proprio lo stile che ritroviamo anche nelle sue fotografie. È un girato molto interessante e anche intimo.



E invece per quanto riguarda gli “incontri” c’è stata una scelta fotografica particolare?
In queste riprese abbiamo cercato di dialogare con Ghirri senza imitare Ghirri. L’idea dell’intervista era quella di raccontare l’ambiente, oltre che il personaggio. Tutte le persone intervistate sono inquadrate in una maniera particolare, tenendo conto dell’ambientazione. Troviamo degli stampatori, tra cui lo stampatore storico di Luigi Ghirri, vari pittori che hanno collaborato con lui, c’è anche un’intervista con Massimo Zamboni girata a Villa Pirondini a San Ludovico (RE), dove Zamboni ha composto l’ultimo disco con i CCCP. Luigi Ghirri aveva fatto le fotografie per la copertina dell’album. Poi ci sono le varie case, c’è l’ultima casa che Ghirri si era comprato a Roncocesi …
L’idea è quella di raccontare i luoghi, perché sono proprio quelli che lui ha frequentato durante tutta la vita, immaginando che questi luoghi presentino una continuità, un legame con il suo modo di fotografare.


Cos’è che ti affascina di Ghirri?
Luigi Ghirri è sempre stato visto come un fotografo di paesaggio della Pianura Padana. Però, nonostante io sia emiliano, io non amo Luigi Ghirri perché ha fotografato l’Emilia Romagna. Quello che mi ha sempre colpito invece è che guardando le sue foto si va oltre il paesaggio visivo. Per lui era un paesaggio della mente, lavorava sull’idea di un paesaggio fantastico. E soprattutto lavorava sulla sua memoria: tutte le sue fotografie in qualche modo riportano all’infanzia, alla sua adolescenza, e secondo me riesce a toccare dei punti universali, che vanno a sollecitare l’inconscio di ognuno di noi. La particolarità è che le sue foto sono amate in tutto il mondo, e non sono amate in tutto il mondo perché rappresentano la Pianura Padana, ma perché ognuno ci trova qualcosa di diverso e di intimo. Diciamo che questo è il punto da cui sono partito, che ho proposto alla famiglia e che loro hanno condiviso.
Che riflessioni ti evocano le sue foto?
Ghirri mi ha sempre colpito perché le sue fotografie ti permettono di viaggiare. Sono un po’ come la musica: un giorno ci vedi qualcosa, un altro giorno ce ne vedi un’altra, a seconda dello stato d’animo o del percorso umano che stai facendo. Solo i grandi artisti riescono ad arrivare a questi livelli, e nella fotografia è ancor più difficile perché molto spesso viene usata per cogliere l’attimo, non per una elaborazione così profonda.

Che importanza ha la colonna sonora nel tuo film?
Per quanto riguarda le musiche e il sound design ho fatto un grosso lavoro con Simonluca Laitempergher. Quello che mi interessava era sonorizzare le foto con suoni di ambienti o umani, per trovare un momento intimo e di unione con Luigi Ghirri. Anche la musica è stata creata in questa direzione, lavorando sull’idea di memoria in chiave fantastica. Ci siamo ispirati come mood alle musiche di Nino Rota, per poi percorrere la nostra strada.
La casa di produzione è di Napoli?
Sì è una casa di produzione di Napoli che si chiama LaDoc – specializzata nel documentario – con cui collaboro da tanti anni. Io sono di Bologna, ma ho vissuto tra Roma e Napoli per diverso tempo. Da quando ho iniziato a fare l’autore e il regista (all’inizio nasco come montatore) ho sviluppato il mio percorso autoriale con questa casa di produzione, con cui mi trovo bene. Lorenzo Cioffi, il produttore, è legato come me a Luigi Ghirri, l’ha sempre amato ed è stato anche per lui un importante punto di riferimento.
Non ti sei sentito un po’ intimidito nel raccontare una figura così importante e così amata?
Agli inizi è stato molto difficile, anche perché prima di partire con questo documentario c’è stato bisogno di ottenere la fiducia della famiglia e non solo, anche di quelli che gli sono stati accanto tutta la vita. Ghirri è comunque un personaggio molto complesso e già molto raccontato, non tanto in video ma nei libri. Tutti hanno cercato di raccontare Ghirri da tanti punti di vista. E ovviamente per me, che non sono un coetaneo di Ghirri, dovermi mettere in rapporto con persone che lo hanno vissuto è stato delicato. Dovevo far capire che avevo un punto di vista abbastanza forte e le idee chiare su quello che volevo fare.
E cosa mi dici della scelta del titolo?
Il titolo viene da un lavoro di Ghirri degli anni Settanta, Infinito, che consisteva nel fotografare il cielo per un anno tutti i giorni. Lui amava spesso dire – ed era un precursore – che saremmo andati incontro a un periodo di pornografia dell’immagine, in cui ci sarebbero state talmente tante immagini che non ci saremmo accorti più di niente, o comunque saremmo stati distratti e non avremmo saputo prestare attenzione alle piccole cose e a quello che c’era intorno a noi. Ghirri insisteva molto su sull’educazione all’immagine, che è un percorso che devono fare tutti, a prescindere dal fatto che tu sia un artista o meno, perché la ricerca sull’immagine è una ricerca umana, ed è infinita.
In copertina:
About Author / Elisa Mereghetti
Regista documentarista, è tra i fondatori di Ethnos.