Cocoricò: gli anni ’90 sotto la piramide
Negli anni Novanta esplode in Italia il fenomeno del “clubbing”, il culto della vita notturna e delle discoteche. A Riccione, nel cuore della riviera romagnola, nasce il Cocoricò, la discoteca che con la sua iconica piramide diventerà il simbolo di un intero decennio, di una generazione, di un modo diverso di vivere e divertirsi.
Francesco Tavella, autore e regista del documentario “Cocoricò Tapes”, ricostruisce la controversa storia del Cocoricò attraverso un attento lavoro di ricerca e selezione di materiali di archivio.

Com’è nata l’idea di un documentario sul Cocoricò? E com’è partita questa esperienza produttiva?
L’idea del documentario in verità non è mia: tutto nasce da un incontro con il musicista del film, Matteo Vallicelli, il quale era in contatto con un ragazzo che negli anni Novanta aveva fatto delle riprese amatoriali assolutamente inedite all’interno del Cocoricò.
Così ci si è aperto un mondo, e sono iniziate le prime ricerche di materiale d’archivio e la ricerca delle persone assolutamente indispensabili per raccontare quello che è stato il Cocoricò di quegli anni.
Sin da subito ho deciso di fare un film composto quasi interamente di materiali d’archivio, per dar voce a una generazione – quella dei giovani degli anni Novanta – e cercando di essere il più possibile coerente con quelli che erano i loro anni e il pensiero di quei tempi. L’idea per il film è stata di non fare interviste attuali – anche se due o tre sono state fatte – perché non si vuol far scattare quell’effetto nostalgia-amarcord di quando si raccontano le cose trent’anni dopo.
Abbiamo cercato di utilizzare il più possibile materiali originali presi dalla televisione, dagli archivi, dalle interviste fatte ai giovani, e dai video amatoriali, per riuscire a restituire il pensiero originale così com’è stato vissuto in quel momento, schivando quindi ogni forma di giudizio attuale, mio o nostro.
Per quanto riguarda la produzione, ho contattato La Furia Film di Cesena e ho conosciuto i produttori Giacomo Benini e Luca Nervegna, a cui il progetto è piaciuto: hanno subito intuito la forza e il potenziale di una storia come questa, soprattutto per il fatto che fosse raccontata prevalentemente tramite gli archivi. Da lì il percorso è stato abbastanza lineare: uno sviluppo importante per ricercare gli archivi, il bando produzione della Film Commission Emilia Romagna, e la ricerca successiva di una co-produzione trovata in Sunset di Forlì.


Qual era la particolarità del Cocoricò rispetto alle altre discoteche?
La particolarità del Cocoricò di quegli anni era il fatto che non era una discoteca. Veniva intesa come tale perché si ballava, ma per voce dello stesso Loris Riccardi – art director del locale dal ’93 fino a poco dopo gli anni 2000 – il Cocoricò era un ambiente di socializzazione, di confronto, di stimolo, di provocazione. Non era neanche tanto importante che il messaggio venisse compreso in toto, bisognava perlopiù sentirsi assorbiti da una dinamica di contaminazioni e di riflessioni. Al Cocoricò sono stati portati personaggi come Mario Sgalambro, Enrico Ghezzi, Franco Battiato. C’è stata l’intera Stagione della Guerra durante l’attacco all’Iraq – venivano dati flyer con dei proiettili veri – e si cercava così di far riflettere le persone (in maniera a volte anche angosciante) su quella che era la società esterna. Quindi, chi arrivava lì diceva: “Strano, non è la discoteca che mi aspettavo, però è bello!”.
Secondo te che spaccato dell’Italia racconta il Cocoricò di quegli anni?
Dalle interviste emerge una cosa chiarissima: l’Italia degli anni Novanta era costituita da due tipologie di giovani, quelli che studiavano e quelli che lavoravano, entrambi con il mito del sabato sera, la necessità di liberarsi e di sfogarsi nel fine settimana. In più di un’intervista ci sono persone che dicono di essere dei lavoratori di tutto rispetto, molto seri e ligi al dovere durante tutta la settimana, ma poi il venerdì e il sabato si lasciano andare.
Da sempre le persone, i giovani e meno giovani, cercano uno spazio di sfogo, che sia lo stadio, la discoteca, persino l’uncinetto, perché così trovano la loro pace interiore e un momento di relax e di stacco dalla quotidianità. In quegli anni era di moda la discoteca, un fenomeno che si andava diffondendo anche grazie ai media che lo “pompavano”, con argomentazioni perlopiù negative. La cosa che mi fa sorridere è che nei telegiornali la discoteca stava sia nella pagina della cultura che nella pagina della cronaca. Forse era anche un modo per distogliere l’attenzione da argomenti più importanti di cui non si voleva parlare.

In merito al materiale d’archivio, come lo hai recuperato e che tipo di selezione hai fatto?
Per parte del materiale d’archivio la prima ricerca l’ho fatta banalmente partendo da YouTube. Negli archivi ho trovato performance teatrali e bondage, carri armati e lectures di autori importanti, e la cosa mi ha immediatamente incuriosito. Successivamente, abbiamo cominciato a risalire pian piano a persone che possedevano flyer o cassette, amici di amici: si è creata una rete – anche grazie all’utilizzo delle pagine social di molti fanatici e nostalgici di quel periodo – che ha portato alla riemersione di una mole incredibile di materiale, che stava per essere dimenticato.
Che altri archivi hai utilizzato, oltre a quello sul Cocoricò?
Nel film facciamo una panoramica sugli anni Novanta, per meglio descrivere il contesto storico e tutte le influenze e le angosce di quel periodo. Troviamo infatti momenti come la caduta del Muro di Berlino, il simbolo di un nuovo inizio, un’era che in un certo senso doveva dare fiducia alle nuove generazioni, anche se col passare del tempo si è visto che questa fiducia è durata poco e l’entusiasmo è svanito rapidamente. Per quanto riguarda il contesto italiano, ad esempio, c’è un’intervista a Craxi durante il processo Cusani, una cosa che potrebbe rappresentare la caduta delle ideologie: nel momento in cui la politica crolla come non è mai crollata prima, la società crolla anch’essa come non è mai crollata prima. Sono due cose che vanno di pari passo. Chi ha vissuto gli anni Novanta – aldilà della discoteca – si ricorda un periodo assolutamente anarchico rispetto ad oggi.


Chi sono i protagonisti? Che storie raccontano?
Le persone che appaiono all’interno del documentario, sia che si tratti di materiali di archivio, sia che si tratti delle interviste (poche) fatte da noi ad hoc, sono le figure che hanno avuto un ruolo centrale all’interno del Cocoricò durante la gestione di Loris Riccardi. Noi ci concentriamo sugli anni Novanta: Riccardi, il principe Maurice, Niconote, Renzo Palmieri, Silvia Minguzzi, Giuseppe Moratti, sono tutte persone che hanno voluto bene e che ancora vogliono bene al Cocoricò. Il film non si limita a raccontare del luogo in sé, a redigere la biografia di un locale: non ha infatti un carattere enciclopedico, ma vuole rappresentare un modo di vivere, una sensazione, un modo di contaminarsi e di confrontarsi.
I gestori del Cocoricò si proponevano di fare qualcosa di bello per gli altri, e ci sono riusciti. Talmente riusciti che ancora oggi questo mito esiste e resiste: il Cocoricò degli anni Novanta resta la discoteca per eccellenza, l’archetipo della discoteca. Tutte le altre hanno inseguito, hanno copiato, hanno imitato.
La bellezza e la stranezza del Cocoricò era che in un solo ambiente c’erano più ambienti diversi tra loro. È famoso per la sua piramide riconoscibile ovunque – ormai diventata un simbolo – sotto la quale c’era il principe Maurice che intratteneva il pubblico con le sue performance, con la sua visione teatrale della notte e del coinvolgimento per un divertimento sano.
Ma c’erano anche spazi come il bagno delle donne, nel quale c’era un piccolo privé con una cucina funzionante, un dj e un ambiente più tranquillo e rilassato, e molto trasgressivo. Poi, gestito da Nicoletta Magalotti (alias Niconote), c’era anche il Morphine, uno spazio assolutamente nuovo nella panoramica di quegli anni, in cui si suonava musica ambient, non si bevevano alcolici ma solo acqua, e dove si andava a distendersi per rilassarsi. Una sorta di stanza di decompressione. Questo ha fatto la stranezza del Cocoricò: non era solo uno stanzone vuoto con le luci strobo, anzi, al contrario, la musica e le luci erano forse secondarie rispetto alle sensazioni, alle emozioni, e alle energie che si potevano scatenare lì dentro.
È come se da parte delle persone ci fosse un riconoscimento di se stessi nel locale…
Sì, e credo che questa cosa del riconoscersi, di identificarsi in un locale sia veramente molto caratterizzante. Ho visto gente con il simbolo del Cocoricò tatuato sul braccio, non mi pare di avere visto tatuaggi con simboli di altre discoteche. Il Cocoricò è diventato un mito, una casa per un’intera generazione. Credo che il motivo sia nella stranezza di quello che hanno creato lì dentro: sicuramente il saper ragionare e non scegliere sempre la prima idea, l’avere come obiettivo il far riflettere la gente senza essere volgari, magari essendo provocatori, ma nel modo giusto.
Quello che ho notato, perché io gli anni Novanta li ho vissuti solo in parte, è che forse lì si è vissuto il massimo concetto di libertà, senza alcuna forma di giudizio o pregiudizio. Faccio un esempio banale: negli anni Novanta le transessuali venivano considerate donne, non qualcosa che era cambiato o una via di mezzo, ma femmine a tutti gli effetti. Femmine che andavano in televisione, che avevano anche un seguito, penso a Eva Robbins. Adesso non è più così, sembra che siamo retrocessi, siamo molto più schematici e molto più chiusi all’interno delle catalogazioni del passato. Secondo me negli anni Novanta c’erano ben poche catalogazioni: le differenze erano evidenti ma superabili tranquillamente, perché non c’era alcuna forma di pregiudizio, e il Cocoricò era la sintesi di tutto questo.


Riferimenti:
- Cocoricò Tapes – Pagina FB
- Discoteca Cocoricò
- La Furia Film
- Sunset
- Crowdfunding su Idea Ginger
- Sul divertimento nella riviera romagnola leggi anche La stravagante storia delle ferie estive degli italiani
Note:
Tutte le immagini nell’articolo sono tratte dai materiali d’archivio di Cocoricò Tapes.
In copertina: Uno stravagante frequentatore del Cocoricò.
About Author / Claudia Rosati
Laureata in Antropologia e appassionata di cinema documentario, lavora nella realizzazione di progetti audiovisivi.