Paolo Simonazzi, fotografo reggiano, racconta della sua ricerca, del suo rapporto con il territorio e di Luigi Ghirri, Gianni Celati e altre figure chiave del suo percorso artistico.

Il filo e il fiume - Bergantino (Rovigo), 2017
Quali sono i temi centrali della tua ricerca fotografica?

I temi centrali del mio lavoro sono di tipo antropologico-narrativo, direi. L’ispirazione, o meglio la fiamma che accende l’ispirazione, perlopiù origina non necessariamente dal mondo fotografico, anche se ho avuto l’influenza di tantissimi fotografi e in particolare di Luigi Ghirri. Questo penso che sia abbastanza visibile nel mio percorso, è come il faro principale. Ma prendo ispirazione anche dalla letteratura e dalla musica soprattutto, come la musica popolare, la musica rock americana. Spesso i titoli dei miei progetti traggono spunto da questi ambiti, come il più recente Il filo e il fiume si richiama al titolo evocativo di un album musicale di Rosanne Cash del 2014, The river and the thread.

Tutte queste idee si mescolano insieme, diventa difficile capire dove sta l’inizio e dove sta la fine di un percorso creativo. Sicuramente alla base c’è l’idea di una sorta di epifania, di visione, come diceva anche Ghirri. Io penso, ho un desiderio, una visione, e cerco di svilupparlo e di portarlo avanti.

Il filo e il fiume - Cà Venier di Porto Tolle (Rovigo), 2018
Il paesaggio è molto presente nel tuo lavoro, come in molta fotografia emiliana. In che modo lo interpreti?

Ho l’ambizione di considerarmi un narratore dal punto di vista fotografico, quindi il paesaggio lo interpreto come un elemento fondamentale nell’ambito della narrazione che sto cercando di creare. In determinati progetti è il protagonista principale, in altri progetti è attore di pari valore con altri soggetti paralleli, altre volte diventa anche un attore secondario o addirittura una comparsa. Diciamo che il paesaggio mi interessa molto, ma in maniera funzionale al progetto che sto creando. In Mondo piccolo ha un valore fondamentale, e anche in La via Emilia e il West. In altri progetti come Cose ritrovate invece non c’è. Poi c’è da dire che “paesaggio” è una definizione di ampio respiro. Anche quello domestico è un paesaggio, per certi versi. Comunque non mi considero un fotografo paesaggista.

So near, so far - Cadelbosco di Sotto (Reggio Emilia), 2010
Rispetto alle tue radici emiliane, alle storie di questa regione, hai un’attenzione particolare?

Assolutamente si. Qua cito anche il pensiero di uno dei nostri grandi musicisti, Luciano Ligabue:

“Io riesco a raccontare bene quello che conosco”.

Conoscendo bene questi luoghi mi risulta molto funzionale, agevole, naturale, istintivo raccontare di questi luoghi. Devo dire che finora sono stato attratto in modo particolare dai luoghi di periferia, di provincia, non tanto dalle città. La provincia, come diceva Celati,

“non solo come luogo geografico, ma come condizione dello spirito”.

Ultimamente ho iniziato a fare qualcosa anche sull’Appennino emiliano, che in qualche modo si può anch’esso definire provincia. Mi sto avvicinando pian piano a questo territorio, sto cominciando ad annusare, come quando si stabilisce il contatto con una persona. I miei lavori nascono così, a volte anche casualmente, con tutta una concatenazione di elementi, una situazione ti rimanda ad un’altra. E comunque la ricerca preliminare è molto importante. Quando vado in un luogo quasi sempre ho già un’idea molto precisa di quello che andrò a fare.

Il filo e il fiume - Monticelli D'Ongina (Piacenza), 2020
Cosa ti affascina di queste terre?

Un esempio: a Casa Falugi di Boretto (RE) ho scattato una foto particolare, in una vecchia soffitta. La foto ritrae una strana lapide abbandonata in un solaio. Anche questa è un’epifania, è la caratteristica che io adoro di queste terre, dove spesso il reale si confonde impercettibilmente con il surreale.

Il filo e il fiume - Polesella (RO), 2019
Questo è un elemento della tua ricerca anche ne “Il filo e il fiume”?

Secondo me sì, assolutamente. Infatti anche Francesco Zanot nel suo testo introduttivo e nel video che ha accompagnato la mostra (realizzato da Riccardo Marchesini) definisce queste fotografie “enigmatiche” e questi luoghi “improbabili”. C’è sempre questa improbabilità, questa eventualità. A volte li vado a cercare, a volte sono loro che trovano me. Ad esempio c’è una fotografia in cui ci sono due carrozzoni di piccoli circhi di periferia, circhi minori, di quelli che a me piacciono tanto. Uno di questi circhi si chiama “Circo Dylan”… Tutta una serie di connessioni, di contaminazioni anche musicali, c’è tutta la mia affinità con il lavoro di Ghirri, che era un grande appassionato del lavoro di Bob Dylan. Si definiva addirittura un “dylaniato”!

Qual è il filo conduttore di questo lavoro?

In realtà è un intreccio di fili, un filo che connette i vari territori che abbiamo esplorato nel corso della ricerca, e da questo punto di vista è stato fondamentale il contributo del geografo Davide Papotti. Quindi un filo di connessione “territoriale”, ma anche un filo che ha l’ambizione di mettere in collegamento i miei vari progetti precedenti. È un lavoro abbastanza complesso, che si presta a più livelli di lettura, che richiama Mondo piccolo, Tra la via Emilia e il West, oppure Bell’Italia. Una fotografia, ad esempio, ritrae un soggetto in una festa di paese con una maglietta con i tre colori della bandiera italiana. Ci sono diverse connessioni e diversi piani di lettura.

Mantua, Cuba, 2015

Come dice Davide Papotti:Il filo e il fiume è anche in grado di cucire paesaggi acustici, verbali e musicali solo apparentemente distanti, che possono far coesistere ed interagire gruppi blues con le orchestre di liscio, il rock di Bruce Springsteen con le bande di paese, i caratteristici suoni delle parole inglesi con il suono delle parole dialettali pronunciate con immediata efficacia dalle persone ritratte. Anche questo è un filo dell’invisibile ragnatela identitaria che travalica gli argini del Po e trova le sue misteriose strade di diffusione nelle terre circostanti.”

In più c’è anche un altro elemento importante, l’ispirazione al lavoro di Alec Soth Sleeping by the Mississippi, in cui compare come elemento ricorrente il letto. Non si capisce bene perché, ma ogni tanto nelle sue foto si vede questo letto. Nel mio lavoro ci sono i fili: fili della luce, della biancheria, fili sparsi che si intrecciano.

Tra la Via Emilia e il West, Campagnola Emilia (RE), 2002
Il filo e il fiume - San Rocco di Boretto (RE), 2016
Questo lavoro ruota intorno al fiume Po. Mi chiedevo se senti una responsabilità verso la tematica ambientale.

È un tema talmente serio che chiaramente ci coinvolge tutti. Ma avendo già a monte un’idea di narrazione molto precisa io penso più a ciò che mi interessa fotografare, che non all’idea di mostrare un problema di degrado ambientale. A volte si rischia di cadere un po’ nella retorica. Cerco sempre di utilizzare un approccio molto delicato, non certamente di denuncia. Quando si vanno a toccare certi temi ci si scontra sempre con punti di vista molto diversi. Anche rispetto al tema della siccità esistono i “negazionisti”…

Mantua, Cuba, 2015
Mantua, Cuba, 2015
Mantua, Cuba, 2015
Dicevi che Luigi Ghirri è stato fondamentale per te. In che modo?

Voglio citare un suo pensiero che rappresenta bene quello che è il mio approccio alla fotografia, e come lui sia diventato un punto di riferimento fondamentale per me:

“In fondo di ogni visitazione dei luoghi portiamo con noi questo carico di già vissuto e già visto. Ma lo sforzo che quotidianamente siamo portati a compiere è quello di ritrovare uno sguardo che cancelli l’abitudine.”

Questo è il cuore del pensiero di Ghirri, che mi accompagna da sempre.

Un altro grande fotografo emiliano, Franco Fontana, dice:

“Tutto è già stato fotografato, tutto è da fotografare.”

Secondo me l’importante è avere un’idea progettuale, cercare uno sguardo che ci permetta di cancellare e dimenticare l’abitudine, proporre qualcosa di originale nell’ordinario. Questa è stata una delle grandi lezioni di Ghirri. Sento anche un grande legame con Gianni Celati, così come c’era un legame fondamentale tra Celati e Ghirri. È un cerchio che in qualche modo si compie e si chiude, sono idee che circolano, è un piccolo mondo circolare. Io ho avuto la fortuna di collaborare anche con altri due straordinari scrittori emiliani vicini a Celati e Ghirri, che sono Daniele Benati e Ermanno Cavazzoni. Con Ermanno per Cose ritrovate e con Daniele per Tra la via Emilia e il West. Anche qua mi permetto di leggere una citazione di Celati che è stata fondamentale per Il filo e il fiume. Una citazione dal suo libro Verso la foce, un diario di viaggio di una poesia e di una umanità straordinaria.

“Si è disposti all’osservazione quando si ha voglia di mostrare ad altri quello che si vede. È il legame con gli altri che dà colore alle cose, le quali altrimenti appaiono smorte. C’è sempre il vuoto centrale dell’anima da arginare. Per quello si seguono immagini viste o sognate, per raccontarle ad altri, e respirare un po’ meglio.”

Sono queste parole che mi hanno plasmato, è il mio imprinting.

Cosa ci puoi dire del tuo metodo di lavoro?

Mi piace definirlo un metodo di lavoro diretto e senza fronzoli, senza effetti speciali. Ho i miei punti di riferimento nella post produzione, perché questo è inevitabile, visto che lavoro ancora molto su negativo, anche se ho iniziato a lavorare anche su digitale. Le foto vengono sistemate in post, ma le inquadrature sono già molto ben delineate fin dall’inizio. Ogni lavoro cerca di prendere una sua direzione. Ho un collaboratore che mi segue quando c’è bisogno di utilizzare la luce artificiale, e una piccola squadra di persone che mi supportano e mi sostengono. L’idea portante è quella di una fotografia molto semplice, senza fronzoli. Non utilizzo tantissime macchine e non utilizzo tantissimi obiettivi.

E se tu dovessi indicare una parola chiave per la tua ricerca fotografica?

Bella questa domanda… Citando il testo di una canzone che mi piace molto di Bob Dylan direi “una serie di storie in una serie di sogni”…

In copertina: Il filo e il fiume – Guastalla (RE), 2019