Documentaristi del futuro: Corso Doc
Roberto Gugliemi e Rossana Cappucci, referenti del Corso Doc del Liceo “Laura Bassi” di Bologna, ci parlano della storia e del futuro di questo innovativo progetto didattico, focalizzato sulla formazione al documentario.
Come è nato il Corso Doc?
Roberto: L’idea di attivare uno strumento didattico alternativo per far esprimere gli studenti è nata diversi anni fa, quando collaboravo con “La Palazzina” di Imola. In quel periodo insegnavo in un istituto professionale, e cominciammo a fare i primi corti sugli autori classici come Pascoli e Carducci, visitando le loro abitazioni. Poi sono passato al Liceo Rambaldi-Valeriani, sempre a Imola, e nel 2011 siamo andati con gli studenti a L’Aquila per fare una vera e propria ricerca-azione, una ricerca socio-antropologica. Il documentario che ne risultò si chiamava Terremoto dentro, e raccontava quello che vivevano gli aquilani a due anni dal sisma.
Quando mi sono trasferito al Liceo Laura Bassi di Bologna ho avviato un nuovo progetto di documentario sulla vicenda dell’amianto. Abbiamo seguito i processi in aula, siamo andati a Torino, e fino in Cassazione a Roma. Era la documentazione vera e propria di un percorso di ricerca-azione, che culminò nel presentare la ricerca e il film agli enti locali. Lo presentammo al Comune di Imola e alla Regione Emilia-Romagna, che in seguito approvò il piano di smaltimento dell’amianto. Il vero salto di qualità, con l’istituzionalizzazione del percorso didattico, è avvenuto nel 2015, quando abbiamo iniziato la collaborazione con la D.E-R – Associazione Documentaristi Emilia-Romagna. La formula era ancora quella di seguire e indagare con i ragazzi le vicende politiche, sociali, ambientali, storiche, ma stavolta con il supporto di professionisti esterni. Questo ha alzato notevolmente la qualità dei nostri prodotti. E così è nato il Corso Doc.
Qual’è stata la risposta da parte dei ragazzi?
Rossana: Il primo anno abbiamo sperimentato con una classe terza, quindi non si trattava di un percorso scelto dai ragazzi fin dal primo anno, come avviene invece adesso. Quelli erano ragazzi che avevano scelto le scienze umane, e che forse sono stati incuriositi da questo esperimento. Si sono anche un po’ fidati di noi, e ci hanno seguito con molto entusiasmo. L’anno successivo, quando il corso è stato ufficializzato, l’adesione è stata molto forte. Il numero di richieste superava il numero di posti disponibili. Per fortuna siamo riusciti a farli rientrare tutti, erano più di trenta ragazzi che avevano manifestato il loro interesse.

Come scegliete i temi su cui lavorare?
Rossana: In alcuni casi il tema viene scelto dai ragazzi. In altri casi può essere scelto dall’insegnante, però sempre tenendo conto degli argomenti più cari ai ragazzi. Non è mai una scelta imposta dall’alto. Di solito si parla, si dialoga, si fa il punto della situazione, ed emergono dei temi a cui gli studenti sono più sensibili. Ad esempio nel biennio i temi più ricorrenti sono quelli dell’identità e del rapporto con l’altro, che sia all’interno della famiglia, o nei rapporti di amicizia, o a scuola. Tutti i lavori fatti finora al biennio vertono su queste tematiche. Si va dal cortometraggio in stop motion sulla dislessia, a quello sull’identità a scuola, al documentario sull’adozione, al rapporto con la famiglia, con i compagni, al documentario storico sulla scuola di ieri e di oggi.
In questo periodo stiamo realizzando dei laboratori con una classe prima sulla messinscena al Teatro Duse di Bologna del Don Giovanni di Mozart. Voi vi chiederete cosa c’entra il Don Giovanni con dei ragazzi di 14 anni? Chiaramente a quell’età si ha un’idea dell’amore molto abbozzata, quindi la loro analisi si è concentrata soprattutto sul tema della fiducia, e del tradimento dell’amicizia. Ci siamo ispirati ad un’opera classica, però quello che emerge è il vissuto dei ragazzi, il loro punto di vista.

Come rientra la tecnica cinematografica in tutto ciò?
Rossana: Lavorando su questi progetti si affrontano i i vari aspetti della tecnica cinematografica, cioè soggetto, sceneggiatura, ripresa e montaggio. Questo parte già dal biennio, dove facciamo anche un po’ di teoria, la storia del cinema documentario. Al triennio i ragazzi hanno già sviluppato le competenze di base e possono lavorare in modo diverso, più creativo e più approfondito.
Roberto: I ragazzi che si iscrivono al Corso Doc devono fare obbligatoriamente due ore in più alla settimana. In queste due ore fanno un po’ di tutto, anche analisi filmica, e i loro prodotti sono spesso delle esercitazioni didattiche dal punto di vista tecnico su una tematica scelta da loro o dai loro docenti. Nel triennio ci si concentra sullo studio della fotografia, e recentemente abbiamo inserito anche l’insegnamento di fonica. In più ci sono anche dei progetti annuali di lungometraggio, con i quali apriamo diversi cantieri, scenografia, recitazione cinematografica, fotografia, finalizzati al lungometraggio.


Potete raccontarci di alcuni lavori particolarmente significativi?
Roberto: Il progetto per me più interessante è il lungometraggio di inchiesta Uno Bianca – Mirare allo stato, con cui abbiamo messo in campo una mole di ricerca notevole. Abbiamo lavorato sulle carte processuali e sugli archivi audiovisivi, come quello di Rai Teche. C’è stato anche un importantissimo lavoro di sceneggiatura. I ragazzi che hanno seguito tutto il percorso hanno maturato un’esperienza veramente importante, anche dal punto di vista emozionale. Un altro progetto in corso molto significativo è quello sulla vicenda dell’Italicus. All’interno del docufilm è prevista una parte di fiction consistente, di circa 35 minuti. Pensare che quest’idea sia nata nei laboratori di sceneggiatura del Corso Doc, da ragazzi che volontariamente hanno ripreso in mano la storia della tragedia dell’Italicus è per me una grande soddisfazione.
Rossana: Il documentario che mi emoziona sempre, che mi è rimasto nel cuore, forse perché è stato il primo, è Siamo tutti in transizione. Quel film mi ha fatto comprendere la potenza dello strumento espressivo del documentario. Io ho sempre avuto la passione per il cinema, ma non avevo la visione per utilizzarla a scuola in questo modo. Un altro documentario che mi è molto caro è Non eravamo Pagine Bianche, sul tema dell’adozione. L’idea è partita dalla presenza in classe di una ragazza adottata. Si è cercato di creare un rapporto di maggiore condivisione all’interno della classe, di conoscere un contesto familiare che era diverso da quella di tutti gli altri. Questo ci ha permesso di indagare sulle situazioni personali di ogni ragazzo. Alla fine il tema non era più l’adozione, ma l’identità, il rapporto con la famiglia. Abbiamo fatto molte attività quell’anno, legate alla realizzazione di questo documentario: dal teatro, con la visione dello spettacolo Le orme dei figli al Teatro del Pratello, agli approfondimenti di letteratura, latino, storia, scienze umane. Sono state coinvolte tutte le materie che ruotavano intorno al tema centrale

È un approccio interdisciplinare quindi. Qual è la vostra idea della “pedagogia della creatività”?
Rossana: Corso Doc nasce anche dall’idea di immaginare una scuola diversa. Perché le due ore laboratoriali, che hanno la funzione di trasferire ai ragazzi delle competenze specifiche attraverso l’incontro con i professionisti, sono sicuramente importanti, ma si legano ad una visione più ampia. Il coinvolgimento di varie discipline ci apre a visioni diverse. Lo strumento espressivo documentaristico, così flessibile, ci dà anche la possibilità di avere uno sguardo più flessibile sulla realtà.
Roberto: Dal punto di vista didattico il Corso Doc è un corso documentaristico- cinematografico, però è anche una scuola inclusiva, non competitiva. Noi non utilizziamo la valutazione come strumento di supporto alla motivazione, i nostri ragazzi i voti li vedono solo quando aprono le pagelle. L’investimento viene fatto sulle inclinazioni, sulle passioni dei ragazzi. Io cito sempre l’etimologia della parola educare, educere, cioè tirare fuori le parti migliori, non indicare una strada da seguire. La scuola troppo spesso ti indica il percorso, e chi esce fuori da quel percorso la paga in termini di voti, di sofferenza. Invece il Corso Doc ti dice: trova la tua strada, io ti aiuto a trovarla. Ti dò gli strumenti per cercarla, mettiti in gioco, cerca la tua passione. Questa è una scuola dove, per citare Paulo Freire, abbiamo cercato di azzerare la dialettica oppresso-oppressore. È chiaro che non c’è un rapporto completamente paritetico tra docente e discente, però proviamo a renderli umanamente più vicini. I nostri ragazzi stanno bene, vivono bene a scuola, e questo li induce anche ad osare di più.


Il futuro del Corso Doc?
Roberto: Dal mio punto di vista io lo vedo inserito in un contesto più ampio della nostra scuola, in una sorta di sistema formativo integrato. Adesso è iniziato questo accordo di rete con il liceo Rambaldi-Valeriani di Imola. Sull’asse della via Emilia che porta da Bologna a Imola creiamo una compenetrazione creativa importante. Dovrebbe diventare un polo creativo e produttivo a più livelli, dai podcast, ai documentari radiofonici, alle composizioni musicali. Un polo creativo e divergente di fare scuola, insieme alle associazioni del territorio. Dobbiamo fare rete con la D-E.R, con l’Antoniano, con la Cineteca di Bologna, con il Conservatorio di Musica, ma anche con il Corpo Bandistico, ad esempio. Deve diffondersi sul territorio. Questa è l’utopia, spero che si avvererà.
Rossana: Anche io penso ad un Corso Doc che non sia solo all’interno della scuola, ma una modalità di espressione creativa a livello più ampio. Le collaborazioni ci sono già sul territorio e si stanno sviluppando, anche in rete con altre scuole. Ci sono biblioteche e teatri che ci chiedono di fare dei percorsi insieme. Quindi il futuro dovrebbe prevedere una modalità di partecipazione più allargata, ai giovani innanzitutto ma non solo, perché attraverso l’Associazione Corso Doc sono coinvolti anche i loro genitori. Spesso i genitori vorrebbero fare questa scuola anche loro! È una modalità comunicativa creativa rivolta ai giovani del territorio, ma è possibile estenderla a tutta la cittadinanza. Partire dalla visione del mondo dei giovani per coinvolgere anche gli adulti.
In copertina: Durante le riprese di “Siamo tutti in transizione”, foto Marco Mensa