Continuano le interviste doppie ai protagonist* del documentario e della produzione in Emilia – Romagna. Ora è la volta di due direttori della fotografia (e non solo): Salvo Lucchese e Antar Corrado.

Come ti sei formato artisticamente?

Salvo: Da Messina sono arrivato a Bologna per studiare al Dams nel 2001, in un momento molto fertile per la città. Sono gli anni dell’attivismo, del G8 e di Indymedia e mi avvicino al Vag61, progetto sociale e media center in cui convergevano varie realtà. Lì comincio con un laboratorio video, Occhiovago, composto da studenti provenienti da ogni facoltà e formazione, coordinati dalla professoressa Monica Dall’Asta e dal regista Donato Curione.

Ho cominciato a fare video, non solo come direttore della fotografia ma anche come regista, con questo spirito collettivo, sulla falsariga dei cinegiornali di Cesare Zavattini, per un cinema dal valore sociale. Uno dei nostri primi documentari fu Hotel Bologna 2, su un palazzo a Calderara di Reno dove convivevano spaccio e prostituzione con le vite di persone normali. Quella esperienza mi ha fatto capire l’importanza dell’empatia, della capacità di relazionarsi sempre con le altre persone, fondamentale per aprire diverse porte nel documentario ma anche nella vita. Per la prima volta abbiamo iniziato ad interrogarci sulla responsabilità del nostro sguardo, sulla scelta quasi politica di cosa mostrare e tutto questo senz’altro ha dominato la prima parte del mio percorso.

L’incontro con Elenfant Film, con ragazzi che provenivano da esperienze più strettamente cinematografiche, mi ha permesso di crescere e di condividere letteralmente gli spazi e di cominciare a ibridare il linguaggio del documentario con la finzione. Un cortometraggio di quel periodo a cui sono molto affezionato è Sexy Shopping (2014) che racconta la vita di un commerciante ambulante bengalese, con l’uso frequente di camera a spalla e di mini camere nascoste.

Insieme a Carlotta Piccinini, con cui ho in comune la cura maniacale per l’estetica e la compostezza dell’immagine, e GVC Onlus abbiamo realizzato Eco De Femmes, esperienze di emancipazione femminile attraverso il lavoro in zone rurali della Tunisia e del Marocco. E’ stato difficile all’inizio filmare persone che non avevano mai visto un uomo bianco, entrare nel loro mondo e guadagnarsi la loro fiducia attraverso gesti e sguardi, ma è stata una esperienza umana che mi ha arricchito tantissimo. Con lo stesso team abbiamo girato in Repubblica Dominicana alcuni spot, sotto forma di piccoli ritratti di lavoratori, per incentivare il consumo equo e solidale della frutta tropicale.

Oggi concentro tutta la mia attività sulla direzione della fotografia e ho una sala di post produzione in cui riesco a gestire i lavori in autonomia.

Antar: Sono capitato per caso nel cinema. A 14 anni ho partecipato quasi per gioco ad un corso per realizzare cortometraggi come montatore cinematografico. Ero solo un ragazzino appassionato di fotografia ma mi piacque molto stare sul set. E’ stato un assaggio, un pretesto per cominciare a lavorare per conto mio. Amo il montaggio perché per me è come una seconda fase di regia in cui poter stravolgere quasi tutto. Ho approfondito però il discorso sulla fotografia perché sostengo che la luce può essere un fantastico strumento di comunicazione.

Ho cominciato presto a fare esperimenti di rendering in 3D e su come organizzare l’illuminazione di una scena. Mi sono poi iscritto all’Accademia Di Belle Arti, indirizzo linguaggi del cinema, dove ho capito definitivamente che quella era la mia strada.

Nel 2018, con Luca Moro e Marco Cavazzin, ex compagni di studi, ho fondato la casa di produzione ONN Creators. Attraverso questa collaborazione permanente, dove ognuno ha il proprio ruolo, posso ormai essere certo che, come mi piace dire, “la mia direzione è la direzione della fotografia”.

Nello stesso anno esordisco come regista nel corto Un segreto per Duchamp, lavoro che ha vinto la rassegna Corto in Accademia e che mi ha dato grande soddisfazione per come è stato accolto nei festival, persino all’estero, nonché una grande carica emotiva per proseguire. Ad oggi ho firmato la regia di quattro cortometraggi e con Seacabo’ del 2019 ho ricevuto la Menzione d’onore al British Columbia Environmental Film Festival.

Con Onn Creators attualmente lavoriamo soprattutto nel settore della moda e del fashion, cosa che mi piace perché mi lascia una piacevole libertà di espressione creativa. E’ raro riuscire a combinare il lato artistico a quello emozionale ma alla fine è anche il bello della sfida. Nel cinema servono per forza entrambi gli aspetti: riuscire a metterli insieme, o tentare di farlo, è estremamente stimolante.

Immagine tratta da "Eco de Femmes" di Carlotta PIccinini
Immagine tratta da "Seacabò" di Antar Corrado

Perché hai scelto di lavorare con il documentario?

Salvo E’ il miglior modo per scoprire e creare nuove storie ma anche per dare voce a chi non viene mai raccontato. Alcune micro storie possono dare molte emozioni perché credo che ci sia più spazio per nuovi linguaggi e più libertà di contenuti. Mi affascina quando il confine tra realtà e finzione diventa labile e tutto si mescola. In Disco Ruin di Bosi & Zerbetto partiamo dalla cronaca sui locali da ballo abbandonati per mettere insieme immagini di repertorio con la finzione, un’anima notturna che gira in automobile di notte come legante di narrazione e l’uso smisurato neon e fluo per ricreare le atmosfere della discoteca.

Lo scopo è quello di allontanarsi sempre di più dalla frontalità un po’ sterile dell’intervista e trovare nuove forme di racconto. Questa tendenza l’ho vista consolidata in The Monster of Florence, lavoro di Andrea Vogt per Millstream Films, a cui ho partecipato nel 2020. Tutta la parte degli ambienti notturni è stata ricostruita dopo un’attenta ricerca visiva che potesse tradurre in immagini tutte le controversie della vicenda del mostro di Firenze con la maggior enfasi possibile.

Il documentario Carracci – La rivoluzione silenziosa, che ho avuto il piacere di girare con Giulia Giapponesi, è uno di quelli a cui sono più legato per la complessa ricerca formale e perché ho curato anche la parte di post produzione. Gli affreschi e la pittura condividono molte cose con l’immagine e in video rendono a livello di colori in modo diverso, perciò è stato molto complesso trovare il giusto livello cromatico. Resta fondamentale mettere a disposizione del regista tutta la mia esperienza per raggiungere il miglior risultato possibile e confrontarsi con Giulia è stato molto stimolante.

Ogni documentario a cui lavoro è un viaggio in cui metto in discussione attitudini e certezze, anche professionali.

Antar: Il documentario è l’unico tipo di cinema capace di raccontare la realtà così com’è ma con cui si può anche giocare, in un certo senso. Il corto circuito tra i piani del reale e dell’illusione che avviene nel linguaggio dei mockumentary  è interessante, in quanto non si sa mai a cosa credere. Penso ad esperienze di meta-cinema come The Wild Blue Yonder di Werner Herzog in cui è quasi impossibile capire cosa sia vero e cosa sia finzione.

Ho partecipato due anni fa a Paternicillina – Storia di un regista dimenticato di Marco Berton Scapinello, la bellissima storia del regista Adolfo Baruffi, ma solo come operatore Ronin: il mio esordio ufficiale come direttore della fotografia in un documentario è ancora in cantiere, visto che mi appresto a girare Memorabilia di Domenico G.S. Parrino.

Immagine tratta da "Sexy Shopping" di Antonio Benedetto, Adam Selo
Immagine tratta da "Un segreto per Duchamp" di Antar Corrado

Quali sono i tuoi legami con il territorio emiliano-romagnolo?

Salvo: Sono stato molto fortunato a capitare in una città fervida come Bologna, dove ho stretto tanti legami e creato una bella rete di contatti lavorativi ma anche personali. Negli anni, grazie ai bandi della Film Commission e alla presenza di società di produzione attive, si è creato un humus che permette anche di uscire dai confini regionali con progetti più internazionali. I legami più stretti li ho con le persone con cui lavoro, a partire dalla casa di produzione Smk Videofactory, con cui ho realizzato The Harvest, documentario su una comunità sikh che vive sull’Agro Pontino, un’opera sociale dal carattere trasversale che ci ha messo alla prova attraversando molti generi e stili. Molti dei professionisti con cui collaboro sono spesso amici con cui divido volentieri spazi e idee.

Antar: Nonostante il mio nome di battesimo possa apparire straniero, sono nato e cresciuto a Bologna. Ho scelto la mia città per lavorare, anche se chi è in questo settore tende a spostarsi in posti dove c’è più movimento, come Milano per la pubblicità oppure Roma per il cinema. La tentazione di andarsene c’è stata, ma ultimamente ho rivalutato la nostra regione, mi sono accorto che qui ci sono tante cose che vale la pena di fare, se si ha la pazienza di scovarle. Ci sono molte case di produzione e il territorio è eccezionalmente adatto alla narrazione, oltre alla presenza di aziende grosse che investono nel settore. Il legame perciò lo sento parecchio, sia a livello affettivo che professionale.

Immagine tratta da "Carracci - La rivoluzione silenziosa" di Giulia Giapponesi
Immagine tratta da "Un segreto per Duchamp" di Antar Corrado

Chi o che cosa ti ha maggiormente ispirato nel tuo percorso professionale?

Salvo: Quello che mi sta stimolando in questo momento è la voglia di mettermi in gioco, di sperimentare ponendo sempre attenzione al linguaggio, percorrendo strade diverse e commettendo anche degli errori dai quali imparare. La paura che mi viene all’inizio di un nuovo progetto, come un primo passo verso l’ignoto, è molto utile e mi mette una sana ansia che mi fa affrontare gli imprevisti. Il mio lavoro generalmente finisce al momento delle riprese ed è lì che si deve dare il massimo.

Durante l’apprendistato ho fatto un tirocinio con Ethnos e ho conosciuto Marco Mensa, la prima persona che mi ha fatto capire che il mio sguardo aveva una grande responsabilità. Attualmente, sul versante legato alla fotografia come arte, ho una passione per Sebastião Salgado, soprattutto per gli scatti fatti in una miniera in Brasile in cui si proponeva di diventare più scuro dei minatori che stava ritraendo.

Antar: Tante persone diverse, non è facile scegliere. Tante le contaminazioni, difficili anche da definire e motivare. Tra tutti Stanley Kubrick è quello che mi ha dato di più, che mi ha acceso la classica lampadina per questo mestiere. L’uso della fotografia per narrare, intersecata profondamente con la storia, è stato predominante nella mia formazione. Werner Herzog mi ha influenzato per il modo originalissimo di raccontare mentre Wong Kar-wai per il fatto che proviene dalla grafica, tratto assolutamente distintivo del suo cinema. Un altro che apprezzo è Emmanuel Lubezki per la spinta decisamente documentaristica, con luci naturali e ricca di grandangoli.

Il colore non è fondamentale ma quando lo si usa lo si deve fare davvero, mentre il bianco e nero è un mondo a sé, che va ragionato come tale. Amo entrambe le soluzioni, l’importante è il contributo all’immagine che riceve il regista.

Immagine tratta da "The Harvest" di Andrea Paco Mariani
Immagine tratta da "Seacabò" di Antar Corrado

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Salvo: Sto collaborando con Elenfant Film per una serie di cortometraggi dal titolo Anime Vive, ambientati tutti durante una notte nel periodo del lockdown e girati con una troupe ridotta, realizzati da vari registi in città diverse. Ne abbiamo appena girato uno a Napoli in cui abbiamo letteralmente pedinato un ragazzino.

Ho cominciato alcune interviste preparatorie per il documentario Flora, incentrato sulla figura di una partigiana e diretto da Martina De Polo, con l’intenzione di mettere insieme esperienze di video arte e mapping, con materiale Super 8 girato ex novo per completare quello esistente di repertorio.

Un progetto ancora in fase di sviluppo è quello di un lungometraggio di Carlotta Piccinini sul fenomeno hikikomori e prodotto da Mammut Film.

Antar: Prima di tutto porterò avanti il progetto ONN Creators, la cosa per ora più importante. Vorrei che il mio sviluppo personale andasse di pari passo con questo.

Comincerò a marzo il già citato Memorabilia e nei prossimi mesi darò sfogo anche all’altra mia passione, la musica, con un cortometraggio, una sorta di “musicorto” che unisca immagini e suoni in maniera nuova.

In copertina: Salvo Lucchese e Antar Corrado

Note:

La serie Protagonist*  è iniziata con l’articolo Le Produttrici / emiliodoc n. 1