Lo sguardo di Dany
Dany Mitzman è una reporter inglese che lavora per la BBC, per la radio tedesca Deutsche Welle, e per altre testate internazionali. Da 23 anni vive nella zona di Bologna. I suoi reportage spaziano dalla cultura, ai temi sociali, alle curiosità. E spesso raccontano storie dall’Emilia-Romagna. Le abbiamo chiesto di parlarci del suo lavoro.
Ci racconti come mai hai scelto di vivere in Italia?
Mi sono laureata in lingua italiana e cinema in Inghilterra, e poi ho fatto un Erasmus a Padova. Questo è stato il mio primo contatto con l’Italia, in quel periodo visitai anche Bologna. Tornata a Londra, coltivavo il mio sogno di fare la corrispondente dall’estero, e mi dispiaceva non poter più praticare l’italiano, una lingua che mi piace tantissimo. Ad un certo punto ho deciso di provare a lavorare da Bologna. È una città non troppo grande né troppo piccola, molto ben collegata, mi sembrava un luogo strategico. Avevo pensato anche a Napoli a dir la verità, poi però ho scelto Bologna. In un certo senso la mentalità qui è molto simile a quella inglese.
Non volevo vivere in una metropoli, io vengo da Londra, e quando lavoravo lì facevo proprio la vita da pendolare, invece a Bologna potevo muovermi in bicicletta, potevo sbrigare tutte le cose in poco tempo, è una città comoda e accogliente. Mi sembrava un sogno! Avevo quasi la sensazione di essere sempre un po’ in vacanza, e questa sensazione la provo ancora oggi, nonostante siano passati 23 anni.

Che cos’è che affascina gli inglesi dell’Italia?
Sicuramente noi inglesi siamo attratti dalla diversità, da ciò che si potrebbe definire un po’ “esotico”, anche se in questo caso è un termine un po’ esagerato. Siamo molto attratti anche dalla cultura eno-gastronomica, e in questo l’Emilia Romagna è fantastica, poi c’è la ricchezza del paesaggio, il mare, la montagna. Per noi l’Italia è molto legata all’idea del benessere, ad uno stile di vita sano, ad una qualità della vita migliore. Se dopo tutti questi anni continuo a voler vivere qui, vuol dire che ho una vera passione per questo posto. Mi piace la cultura della convivialità, l’amore per la terra, il poter dire questo vino viene da questa zona, questo tipo di pasta viene da un’altra zona. Per me è una grande ricchezza.
Per chi realizzi i tuoi reportage?
Realizzo servizi radiofonici e articoli online sia per la BBC che per la Deutsche Welle sezione internazionale, che si rivolge a tutto il mondo. Ho lavorato anche per l’Olanda con Radio Netherlands Worldwide. Prevalentemente produco reportage radiofonici, della durata media di 7 minuti. Per la maggior parte sono proposte che faccio io, trovo delle storie interessanti e le propongo. Altre volte sono i redattori che mi suggeriscono l’argomento.

Che tipo di storie preferisci raccontare?
In Italia ci sono tantissime cose belle da raccontare, di cultura, sul sociale, o anche storie buffe, curiose, che attraggono molto. Poi naturalmente mi occupo anche di cose più impegnative. Per esempio ho realizzato alcuni servizi con Pino Maniaci, il conduttore di Telejato in Sicilia, che ha fatto tante campagne di informazione contro Cosa Nostra. Ho fatto diversi servizi su progetti e persone che lottano contro la mafia, contro la camorra. Durante il lockdown ovviamente sono stata ferma, ma appena è stato possibile muoversi sono andata in Val di Susa, alla frontiera con la Francia, e ho fatto alcuni servizi con i volontari della Croce Rossa e altre organizzazioni.
Ho raccontato dei migranti che passano il confine sulle Alpi, fanno il passaggio di notte, rischiando di perdere le dita delle mani e dei piedi per il freddo. In quell’ambiente ci sono tanti suoni da far sentire: i passi sulla neve, le persone che fanno colazione al rifugio, i treni, i suoni della montagna… Dopo la crisi in Afghanistan il passaggio dei migranti è aumentato tantissimo, era già molto intenso con i profughi siriani e con gli africani che arrivavano dalla Libia. Adesso si sono aggiunti quelli che arrivano dalla rotta balcanica, famiglie, donne incinte. Questo servizio l’ho fatto per il sito InfoMigrants, gestito da Deutsche Welle in collaborazione con ANSA e Radio France International. Raccontare queste cose che hanno un valore sociale mi piace molto, sento di fare una cosa utile.


E qualche storia sull’Emilia-Romagna?
Recentemente ho fatto un pezzo sugli umarells, i pensionati che vanno a vedere i cantieri, che si divertono a seguire i lavori edilizi e spesso si sentono delle autorità in merito, danno consigli. Un fenomeno molto bolognese! Ho preso spunto dal fatto che questa parola è stata inserita nel vocabolario Zingarelli, e poi recentemente hanno fatto anche uno spot per Burger King, i cui protagonisti sono proprio gli umarells. La notizia era già uscita sul Times, poi per approfondire ho contattato lo scrittore Danilo Masotti, l’esperto di umarells! Anche di fronte a casa mia c’è un cantiere, e loro vengono a controllare, è un concetto bellissimo!
Una volta ho scritto un articolo sulla riviera romagnola. Mi aveva colpito il fatto che qui in Emilia se ne parla con orgoglio, ma anche con un po’ di imbarazzo. Perché in Riviera c’è questa accoglienza incredibile, questo mix di servizi eccezionali, però il mare in effetti non è un granché, se paragonato ad altri luoghi in Italia. Qualche albergatore c’è rimasto un po’ male, ma io credo di aver dato un quadro obiettivo, sottolineando gli aspetti positivi e negativi, anzi più quelli positivi!
Un altro articolo simpatico è stato quello sul progetto “Spose dal mondo” a Pianoro (dove abito), a cui hanno partecipato tante donne, giovani e meno giovani, italiane e migranti. Ognuna di loro ha messo a disposizione il suo abito da sposa per la sfilata nella piazza del paese. Quindi si sono visti abiti tradizionali provenienti da tutte le culture. Ho potuto sottolineare come il concetto dell’accoglienza passa anche da queste piccole cose, dalle singole azioni delle persone.
Quando ero una bambina in Inghilterra c’erano già presenti tantissime culture, era già una società multiculturale. Quando sono arrivata in Italia invece c’era ancora molta separazione tra italiani e stranieri, le persone di colore erano etichettate sempre come “diverse”. Ma in vent’anni le cose sono molto cambiate anche qui, adesso è un mondo molto più variegato, i bambini vanno a scuola insieme, italiani e stranieri, e questo sta contribuendo a creare una società multiculturale anche in Italia.
Un altro esempio di un mio reportage è il pezzo sui migranti Sikh di Novellara, in provincia di Modena, che lavorano nei caseifici e fanno il parmigiano. Era un pezzo rivolto ad un pubblico internazionale, perché BBC Online Magazine è letto ovunque, anche in India e in America.
Raccontando le storie dall’Emilia Romagna e da altri luoghi in Italia stai veramente aprendo delle finestre sulla nostra realtà, parlando ad un pubblico molto vasto. Su cosa stai lavorando ora?
Una storia a cui sto lavorando in questo periodo è quella delle nonne di Carpi che si sono messe a fare video su TikTok. Me l’aveva suggerito la mia redattrice alla Deutsche Welle. Sono andata in questo centro diurno per anziani e ho parlato con le signore e con lo staff. Prima della pandemia loro uscivano spessissimo, facevano delle gite, si ritrovavano in piazza. Ma con la pandemia hanno sentito molto la solitudine, anche se vivono vicino ai figli, perché non c’era modo di incontrarsi con gli amici. E così le operatrici (alcune delle quali hanno figli adolescenti che usano molto TikTok) hanno proposto di fare dei video, e di creare una specie di scambio con i giovani su questa piattaforma. E da lì è esplosa questa storia molto carina. Alcuni di questi video raccolgono migliaia di followers.
Le signore raccontano le loro esperienze, magari anche le loro tristezze o le emozioni del momento, poi fanno vedere le loro lezioni di ginnastica dolce, oppure un laboratorio artistico, e così via. Diventare famosi a quell’età è una bella cosa! Queste sono persone che hanno passato la vita in fabbrica, nei maglifici di Carpi, e ritrovarsi intervistati dai giornalisti, uscire sul TG nazionale… In questo momento con la guerra in corso queste possono sembrare piccole storie, però secondo me ogni piccola cosa può avere anche il suo perché, poi se ti suscita un sorriso, una lacrima, magari ti fa pensare, perché no?
Da che punto di vista osservi le diverse culture?
Cerco di raccontare le storie senza cadere nello stereotipo. Se c’è qualcosa che io trovo assurdo cerco sempre di vedere anche l’altro lato della medaglia, di analizzare i diversi modi di vedere. Mi succede di scrivere dei pezzi, come quello sulla riviera romagnola, in cui guardo le cose con rispetto ma anche con ironia. Un altro esempio: il mio pezzo che in assoluto ha avuto più successo è stato quello che ho scritto sulla cervicale e il colpo d’aria. In Italia molte persone soffrono di cervicale, ma in Inghilterra non sappiamo neanche cosa sia.
Ho messo un po’ a confronto le due culture, cioè gli italiani un po’ ipocondriaci, attentissimi alla cervicale e al colpo d’aria, e gli inglesi invece incoscienti del loro corpo, che magari non sanno neanche da che parte sta il fegato. Mi sono arrivati un sacco di messaggi, anche da antropologi, che dicevano: “Hai scoperto qualcosa che esiste davvero, si chiama culture bound syndrome.” Cioè ci sono delle malattie tipiche di ogni cultura. Ad esempio in Francia c’è la “sindrome delle gambe pesanti”…
Pensa che il 60% dei farmaci per le gambe pesanti viene venduto in Francia. Puoi anche chiamare in ufficio e dire: “domani non vengo perché ho le gambe pesanti”, come invece un italiano potrebbe dire non vengo perché ho la cervicale… Insomma, ogni cultura ha le sue caratteristiche, quando riesci a sperimentare due culture allo stesso tempo, anche mettendole a confronto, puoi vedere le cose in un contesto più ampio e avere più punti di vista. Guardare le cose con ironia. È questo il bello della diversità.
About Author / Elisa Mereghetti
Regista documentarista, è tra i fondatori di Ethnos.