La farfalla di ferro e l’esperienza di Cinevasioni
Alcuni anni fa a Bologna un gruppo di giovani volontari ha avuto un’idea singolare se non “fantascientifica”, come la definisce Filippo Vendemmiati, co-fondatore dell’Associazione Cinevasioni: quella di portare il cinema da coloro che al cinema non potevano andare, ovvero i detenuti delle carceri, in particolare della Casa Circondariale “Rocco D’Amato”, meglio conosciuta come il “Carcere della Dozza”.
La prospettiva però non si limitava a dei corsi di cinema per detenuti, un’attività che già si era diffusa tra le proposte educative carcerarie, ma a portare concretamente dentro quelle mura il mondo del cinema, quello delle sale con il grande schermo e i popcorn, ma anche quello che – dietro le quinte – lo anima, come produttori, registi e maestranze.
È con queste intenzioni che, nel 2016, nasce l’associazione Cinevasioni, che per due anni terrà corsi e laboratori di cinema con i detenuti della Dozza. Quegli stessi detenuti che comporranno poi la giuria dei due festival che verranno organizzati nel carcere.
Durante i corsi i carcerati venivano introdotti alla storia e alla grammatica del cinema, per poi partecipare a dei laboratori sia teatrali che cinematografici con registi, attori e altri professionisti del settore, che trasmettevano loro quel know-how essenziale per produrre un audiovisivo. Infatti, oltre che partecipare alla giuria del festival, lavoravano alla produzione di cortometraggi, mettendo in pratica le conoscenze acquisite e trovando nuove modalità di espressione.

I cortometraggi prodotti giocavano con i generi cinematografici (come il western o la commedia) per raccontare le dinamiche interne al carcere, dalle contese quotidiane agli espedienti che i carcerati mettevano in pratica per una vita “più normale”. Sperimentavano così l’autorappresentazione, imparavano a conoscersi e a farsi conoscere.
Angelita Fiore, co-fondatrice dell’Associazione Cinevasioni e insegnante di cinema del corso, sottolinea:
“L’elemento centrale dei corsi e dei laboratori non erano tanto le nozioni che si riuscivano a trasmettere, quanto la ricchezza delle relazioni che si venivano a creare. I detenuti cercavano nuovi stimoli, erano “affamati” di ciò che c’era all’esterno e si nutrivano dello scambio con gli operatori. Alcuni mi chiedevano addirittura di andare a vedere questo o quel film in uscita nei cinema per poi raccontarglieli!”
Inoltre, l’impostazione laboratoriale del progetto ha fatto sì che si sviluppasse in modi sempre più creativi e rispondenti alle esigenze dei carcerati: ad esempio il festival di cinema in carcere è stato ideato da loro, così come la forma del premio finale, una farfalla di ferro realizzata dai carcerati che lavoravano come operai nella fabbrica interna alla struttura, che stava a simboleggiare la libertà.

Le due edizioni del Festival (realizzate nel 2017-2018) sono state ricche e partecipate, con proiezioni alla mattina e al pomeriggio per un’intera settimana, e una premiazione finale. Venivano scelti soltanto film i cui registi, produttori o attori fossero disposti a essere presenti personalmente durante la proiezione in carcere: al festival hanno partecipato personaggi importanti come Matteo Garrone, i Manetti Bros, Daniele Luchetti, Claudia Cardinale, Carlo Delle Piane e tanti altri.
Il Festival era così sentito e voluto dai carcerati che una volta, ci racconta Fiore, non molto dopo l’inizio del film, si sentì un forte applauso, al ché la stessa organizzatrice uscì da dietro le quinte per capire cosa stesse succedendo: un detenuto che faceva parte della giuria era appena stato chiamato dalle “guardie” per essere liberato, ma aveva chiesto di finire di vedere il film per poter dare così il suo voto, prima di andarsene.
Si veniva a creare un ambiente anche divertente e giocoso durante le proiezioni, in special modo quando si trattava di scene di malavita, la stessa che molti dei carcerati conoscevano bene. Infatti si ritrovavano a criticare il modo in cui alcuni crimini venivano commessi (come ad esempio uno scassinamento), suggerendo soluzioni più efficaci!


Un’altra particolarità del Festival – resa possibile dalla collaborazione con il Dipartimento di Giustizia e grazie al coordinamento dell’allora direttrice del carcere Claudia Clementi – è che poteva parteciparvi anche un pubblico esterno, composto perlopiù da studenti delle scuole secondarie e del Dams, ma chiunque poteva prenotarsi per partecipare attraverso una procedura abbastanza semplice e accessibile.
Questo ha permesso a tanti di poter attraversare dei luoghi che in genere si conoscono soltanto attraverso le loro raffigurazioni cinematografiche o letterarie, come ci confessa Filippo Vendemmiati:
Ricordo le prime volte che entravo in carcere e, come tutti, subivo un contraccolpo emotivo. Ad angosciarmi era l’idea dei corridoi, delle sbarre, delle chiavi che aprono e chiudono tutte queste porte, i rumori metallici dei cancelli che sbattono. Ma anche la figura dell’agente penitenziario, di tutti i documenti e la trafila burocratica che regola l’accesso al carcere. Insomma tutto quello che un po’ appartiene allo stereotipo delle carceri che conosciamo attraverso lo scenario cinematografico.
Il progetto Cinevasioni ha segnato un momento di apertura e confronto verso un mondo spesso poco conosciuto e stigmatizzato, permettendo sia agli addetti ai lavori che al pubblico di scoprire la realtà carceraria e le tante storie che essa raccoglie.
Un’esperienza importante e significativa che ha attirato l’interesse e il supporto di enti pubblici e privati, fra tutti Rai Cinema, che ha messo a disposizione del carcere oltre seicento titoli dal catalogo di O1 Distribuzioni, permettendo di organizzare cineforum autogestiti. Inoltre, il Gruppo Hera ha contribuito economicamente all’allestimento di una nuova sala cinema, “Atmosphera”, con nuovi materiali e attrezzature per proiezioni di altissima qualità.
Con l’apertura della nuova sala, Cinevasioni intendeva proporre qualcosa di molto originale: attraverso il contributo di produttori e distributori sensibili alla causa, si volevano proiettare i film in anteprima, in contemporanea con la loro uscita nelle sale. Questo avrebbe invogliato più cittadini a partecipare, ma soprattutto avrebbe permesso ai detenuti di essere al passo con ciò che accadeva nel mondo esterno.

Come possiamo immaginare, l’arrivo della pandemia ha provocato una battuta d’arresto nell’esperienza di Cinevasioni e, anche a causa delle difficoltà di gestione di una no-profit da parte di pochi volontari, ha portato allo scioglimento dell’associazione.
Lo scorso novembre però, grazie allo stimolo di un bando ministeriale per il cinema nelle scuole, l’esperienza di Cinevasioni è stata recuperata e ampliata all’ambito scolastico e a quello ospedaliero. Nasce così il progetto Cinevasioni.edu (“edu” è un’appendice voluta dal MIUR per sottolineare l’orientamento educativo del progetto) sotto la direzione artistica di Vendemmiati.
L’iniziativa è partita recentemente con diverse proiezioni al Carcere della Dozza, all’Ospedale Maggiore, al Cinema Odeon e nei licei Laura Bassi e Sabin.
Presso il carcere è stato avviato anche un laboratorio di otto lezioni su Paolo Villaggio e la sua maschera tragica di Fantozzi con dei detenuti e studenti del CPIA (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti). Massimo Ziccone, responsabile dell’area educativa del carcere, non nasconde che la scelta “è stata una bella scommessa. Sia per età che per provenienza poteva essere un po’ spiazzante. Avevamo dubbi e ci chiedevamo: “rideranno?”, “si renderanno conto del contesto?” La coordinatrice dei corsi scolastici mi ha confermato che sì, funzionano e hanno un riscontro positivo”.
I detenuti vengono introdotti al linguaggio cinematografico e alla varietà di professionalità che anima il mondo del cinema, portandoli a conoscere sia i film, che chi e come li fa.

La prospettiva educativa è proprio quella di creare un legame tra il mondo carcerario e il mondo sociale ed economico, cercando di sensibilizzare anche le persone esterne affinché si superino i pregiudizi nei confronti di chi è in stato di detenzione.
Per i detenuti le proiezioni sono un’occasione di formazione e di scambio, ma anche – e soprattutto – di evasione mentale, di estraniamento dalla loro difficile condizione quotidiana: per questo spesso vengono preferite le commedie, soprattutto quelle francesi, che offrono loro un po’ di leggerezza e spensieratezza.
Anche per i pazienti ricoverati negli ospedali Cinevasioni.edu ha la stessa valenza, dato che permette loro di uscire dalle stanze e riunirsi in uno spazio comune: hanno così l’opportunità di conoscersi, di creare dei legami ma anche di passare semplicemente un paio d’ore piacevoli in compagnia.
I pazienti scendono in pigiama e ciabatte, anche in carrozzina, si fermano per tutto il film o magari restano solo per il primo tempo, poco importa. È il segno che c’è un bisogno di normalità e di interazione sia col mondo esterno che con le altre persone nelle stesse condizioni.
Come chiarisce Vendemmiati: «Noi non abbiamo la pretesa di curare persone malate o di usare il cinema come terapia. Non credo che col cinema si possa migliorare lo stato di salute delle persone né rieducare dei detenuti. A me basta semplicemente che in queste due-tre ore che stiamo con loro riusciamo a fargli sopportare meglio una condizione di disagio. Questo ci dà una grossa soddisfazione»
Ciò che risulta essenziale in questo progetto è l’apertura di spazi che spesso rimangono nascosti agli occhi della collettività, così come la creazione di reti e gruppi eterogenei di persone che possono insegnarsi tanto vicendevolmente.
Progetti come questo permettono di conoscere in prima persona la realtà che si cela dietro a pregiudizi e stereotipi, educando prima di tutto i più giovani. Sono loro che possono segnare un’inversione di rotta, determinando un nuovo modo di rapportarsi a dei contesti difficili ma che “nascondono un’umanità profonda”.
About Author / Claudia Rosati
Laureata in Antropologia e appassionata di cinema documentario, lavora nella realizzazione di progetti audiovisivi.