Siamo in un parco alla periferia di Reggio Emilia, uno scampolo di verde ritagliato a spigoli vivi fra alte costruzioni condominiali. Andiamo alla ricerca del Cinema Rosebud, uno di quei luoghi che, al solo nominarlo, suscita suggestioni e una marea di curiosità da svelare. Incontriamo finalmente una struttura bianca, lineare e articolata, che sembra spaziare nelle forme dagli anni venti al postmoderno degli anni ottanta. Il Rosebud non ha certo la parvenza sfavillante di quei complessi cinematografi di nuova concezione, sfacciatamente camuffati da paese dei balocchi, odorosi di pop-corn e bibite dolciastre. Un solo piano, poche luci attorno, nessuna insegna luminosa, alcune figure immobili ritratte sulle pareti e una vetrata illuminata discretamente, come ad entrare in un quadro notturno di Hopper. Una delle grandi magie dei cinema d’essai è il silenzio in mezzo alla moltitudine. Entriamo in sala con la discrezione di un gruppo di alieni che si portano dietro i loro armamentari e subito, dietro alle mascherine, tante coppie di occhi interrogativi ci squadrano da testa a piedi. Sul palco si sta “giocando” La storia del cinema in tre mosse, il corso curato dal critico cinematografico e giornalista Roberto Manassero su quella che, centotrenta anni fa, i fratelli Lumière avevano definito “un’invenzione senza futuro”, ma che con l’avvento del digitale è già entrata nel vivo della sua quarta era.

L'esterno del Cinema Rosebud, Reggio Emilia

Una figura si alza dalla platea e ci viene incontro. È Sandra Campanini, curatrice del cinema. Ci conduce in un luogo appartato dell’ampio ingresso, facendoci gli onori di casa e mantenendo un tono pacato, perché il silenzio e la discrezione, appunto, sono cose sacre. Le risposte arrivano, come è accaduto con tutti i gestori appassionati che abbiamo incontrato fino ad oggi, ancor prima delle domande. Trasporto, orgoglio e ferme convinzioni.

“Non manco mai di ricordare” esordisce Sandra, “che questo è l’unico cinema comunale ancora esistente in tutta Italia. Proprietà e personale fanno capo alla città di Reggio Emilia, garante di quello che per noi è un servizio pubblico inalienabile, e che ci vede, purtroppo, come unici sopravvissuti in un contesto nazionale dove il privato, o le sue forme ibride, sono diventate le uniche realtà. Anche il Rosebud, negli anni novanta, ha rischiato di seguire le stesse sorti di altre sale comunali, quando in contemporanea alla restrizione dei finanziamenti si era prospettata la chiusura dell’Ufficio Cinema. L’idea di una possibile privatizzazione si scontrò subito con la mobilitazione di parti attive del pubblico e di molti intellettuali. Fortunatamente l’abbiamo avuta vinta. Ancora oggi siamo fermamente convinti che centri come il nostro dovrebbero essere istituzioni essenziali in ogni città.”

Sandra Campanini, responsabile della programmazione del Cinema Rosebud
Durante il corso di Roberto Manassero, Cinema Rosebud

Spesso, quando si parla di luoghi gestiti da istituzioni pubbliche, ci si immagina qualche cosa di statico, di vincolato ad obblighi istituzionali, se non addirittura cartellini da timbrare…

“Nulla di tutto questo, ci mancherebbe! Il Rosebud è innanzitutto un luogo di promozione e aggregazione. Ha conosciuto molte fasi di sviluppo, tutte molto dinamiche. Inizialmente era un centro di aggregazione giovanile, oltre che cinematografo, ed anche i corsi di cinema si può dire che esistano da sempre. Avevamo anche una sala di montaggio video dove si svolgevano corsi in laboratorio. La nostra attenzione è rivolta ad un principio guida: la creazione dello sguardo, inteso come capacità di lettura e di senso critico nello spettatore, e di personale rielaborazione, in senso professionale, nei futuri “addetti a i lavori”. Io sono approdata qui nel 2005, dopo la formazione al DAMS di Bologna ed un ampio tour di formazione post universitaria in Italia e all’estero, e posso affermare che il Rosebud è sempre stato un punto di riferimento importante, unico nel suo genere. Come per il mio, posso citare molti altri casi. Cristiano Travaglioli, ad esempio, montatore di Sorrentino ai tempi de Il divo, ha compiuto fra queste mura i suoi primi esperimenti. La settimana scorsa era ancora qui, a presentare È stata la mano di Dio. Tania Pedroni, sceneggiatrice reggiana che ha firmato titoli importanti, fra i quali L’uomo che verrà e Volevo nascondermi. Paolo Ferrari, il “fabbricatore d’immagini”, direttore della fotografia che ha lavorato con numerosi registi, e con Vittorio Storaro.”

Ho tra le mani il libro riccamente illustrato dedicato ai trent’anni di attività del Rosebud. C’è da rimanere impressionati, soprattutto dall’ampia schiera di ospiti illustri che sono transitati per questi ambienti. Colti a caso nell’ampia iconografia fotografica incontro i volti di Emir Kusturica, Pupi Avati, Bruno Bozzetto, Folco Quilici, Abbas Kiarostami, Antonietta de Lillo…  Mi ritrovo a fare gran torto non citando un numero ben più ampio di nomi legati al mondo del cinema e dell’audiovisivo. Per non parlare della musica, della critica, della letteratura. Esiste forse una forza centripeta che si è venuta a creare, col tempo, attorno a questo cinema?

“In Italia è importante innanzitutto uscire a Milano, Bologna e Roma. Come presidente della FICE (Federazione Italiana Cinema d’Essai) dell’Emilia-Romagna posso però confermare che ci sono tutta una serie di attività davvero importanti che vengono portate avanti dalle sale di provincia. Nel nostro caso, scegliendo per passione di ricercare numerosi ospiti più o meno illustri, ci siamo ritagliati uno spazio riconosciuto a livello nazionale.

“Si può andare indietro nel tempo. Basti pensare al lontano 1984, quando ad inaugurare la sala c’era un giovane Nanni Moretti, già regista ed attore affermato. La mia personale memoria, come responsabile della programmazione, comincia nel 2005 quando ebbi la fortuna d’incontrare Mario Monicelli. Venne per presentare un suo film all’interno di una rassegna che avevamo organizzato con la Cineteca di Bologna, altro prezioso partner culturale. E insomma… ero terrorizzata. Di Monicelli tutti parlavano come del classico toscanaccio poco simpatico, e invece s’è rivelato una persona molto aperta e cordiale. Era un uomo dalla curiosità inesauribile, e dalla memoria vivissima, nonostante i novanta e passa anni d’età. Ci siamo rivisti anche a Roma, gli portavo il formaggio a casa, in via dei Serpenti, quando stava girando il suo ultimo film, Le rose del deserto. Non si scordava mai delle persone, era molto attento. Poteva capitarti di ritrovare la sua voce nella segreteria telefonica (cose d’altri tempi), perché aveva semplicemente voglia di mandarti un saluto prima di uscire per andare a lavorare.”

Ero Incerti, proiezionista al Rosebud

Ricercare ospiti così importanti non è cosa di tutti i giorni.

“È vero, ma si tratta più che altro di mettersi lì e farlo. Con Ettore Scola, nel 2008, ho preso in mano l’elenco del telefono (altro strumento d’altri tempi) e lui mi ha detto: “vieni a Roma”. Abbiamo curato una monografia e successivamente è stato lui a seguire il percorso inverso e a venirci a trovare. Anche una singola serata può trasformarsi in un’avventura. Memorabile quella con Valerio Mastandrea, dalla quale uscii distrutta. Dovetti portarlo avanti e indietro da Parma nel pieno di una nevicata. A fine serata, salutando tutti i presenti disse gioviale “Ragazzi, per come guida la Sandra, forse questa è l’ultima volta che mi vedrete!” Poi ci sono quelli un po’ così, come si usa dire, che se la tirano, ma in questo caso non facciamo nomi.

Si parla per lo più di conoscenze meravigliose, che spesso si costruiscono e si consumano in pochi giorni. Ed è giusto che sia così. Ci sono registi che vengono qui a presentare le loro opere, prime e seconde, e poi chiaramente vanno avanti seguendo il loro percorso in altri contesti. In casi molto piacevoli si vengono a formare delle vere e proprie liaison fra noi e gli autori. Come con Susanna Nicchiarelli, persona molto attenta, anche nella presentazione dei suoi ultimi film e nel rapporto col pubblico.”

Sandra Campanini e Ettore Scola, 2008. Immagine tratta da "Rosebud30 -1984-2014"

Questa carrellata di aneddoti ci riporta alla domanda: come riuscite a fare tutto questo?  

“Come si sarà ben capito, qui non ci sono orari, e certamente non passi il tuo tempo a scegliere soltanto titoli di film, o di documentari. Di mezzo ci sono sempre la ricerca dei contributi umani e finanziari, la gestione del personale, i problemi di manutenzione ordinaria e straordinaria, le film commission… Spesso non ci sono weekend, e parlo a nome di tutti. Nemmeno quando finisce il ciclo di programmazione invernale ci si può fermare veramente, perché presto si ricomincia a lavorare sulla rassegna estiva dell’Arena e sui vari festival.”

Una curiosità sul nome, davvero accattivante. Rosebud, “bocciolo di rosa” in Quarto potere di Orson Welles.

Sandra sorride. “Sono molto fiera di questo nome. Abbiamo le nostre vecchiette al corso del venerdì pomeriggio dedicato agli over 65. È il nostro pubblico preferito. A volte le incontro al supermercato e mi sento chiamare in dialetto reggiano “Eh! Mo l’è la sgnureina del Rosebud!” declinando il nome in cento modi diversi eccetto quello corretto. Quel nome è il segreto della vita, e questo mi porta a dire che il nostro è davvero il mestiere più bello del mondo.