È attualmente in corso nella Project Room del MAMbo di Bologna NO NEON, NO CRY, la mostra dedicata alla Galleria NEON, mitico e indimenticabile spazio libero di ricerca artistica sempre all’avanguardia nel panorama nazionale e internazionale, curato dal 1981 da Gino Gianuizzi. Dall’inizio del nuovo millennio e fino alla sua chiusura, nel 2011, l’attenzione della galleria, nel suo spazio di via Zanardi, si è aperta sempre più intensamente agli interventi nella città e negli spazi pubblici. Ancora di uno di questi racconteremo oggi.

Esterno dell'Albergo Diurno Cobianchi dopo la ripulitura

Su una vecchia mappa della Bologna del 1911, proiettata sulla parete di una delle sale sotterranee dell’Accademia di Belle Arti di Bologna nel corso della Notte bianca dell’arte del gennaio 2011,  dei tondi di luce bianca segnalavano dei vuoti sul reticolo delle strade di Bologna. Allo stesso tempo nell’aria intorno si veniva investiti dal profumo, un po’ straniante per il luogo, delle piccole saponette Lux, bianche anch’esse, che l’artista Daniela Spagna Musso offriva al pubblico, come delicata memoria di luoghi ormai “evaporati”, disciolti: i quattro Alberghi diurni Cobianchi presenti in città sin dall’inizio del secolo scorso.

Reflexive Map 1911-2011, questo il titolo dell’installazione, era in quella sala sotterranea per far riaffiorare la memoria del primo Albergo diurno Cobianchi in Italia, nel centenario della sua apertura, voluta da Cleopatro Cobianchi dopo un viaggio a Londra. Quei tondini su una pianta di Bologna dell’epoca, conservata dalla Biblioteca dell’Archiginnasio, corrispondevano tutti, eccetto uno, a un vuoto, a un buco, lasciato da quelle cancellazioni progressive risultato dei ridisegni urbanistici, culturali e antropologici delle nostre città, come segni del consueto e inevitabile loro “progredire”. 

Esterno Albergo Diurno - Momenti della ripultiura. Foto Daniela Spagna Musso

Tre erano nel 1911 gli Alberghi Diurni presenti in città: il primo, il Cobianchi, sotto il Voltone del Podestà; il secondo, il Centrale, in via Montegrappa (ex via Pietrafitta), all’angolo con Vicolo Ghirlanda; il terzo, Diurno Salus-Armando Bendani, in via Indipendenza 38. Dei piccoli specchi circolari nei punti in cui si trovavano i diurni creavano una proiezione della luce che ne evidenziava l’assenza nello spazio della città. È a partire da quei vuoti tondi e luminosi che, con i tocchi lievi e con la riflessiva profondità che solo la levità non enfatica né retorica sa suggerire, ha continuato a muoversi con determinazione e inamovibile convinzione Daniela Spagna Musso nel suo progetto di arte pubblica Open the door, che si è mosso ed esteso a individuare la presenza degli alberghi diurni anche in altre città italiane e, all’estero, a Londra.

A Bologna, dove il progetto ha avuto inizio, esso ha vissuto più fasi. La prima è iniziata nell’ottobre del 2008 nel corso di un workshop per l’arte pubblica previsto all’interno del Premio Iceberg, che formava e premiava giovani artisti emergenti. Quel workshop nello specifico era condotto da Bernardo Giorgi e Anna Rispoli (ZimmerFrei), era promosso dal Comune di Bologna e curato da Gino Gianuizzi all’interno di GAP (Giovani per l’Arte Pubblica).

Il marciapiede all'esterno dell'Albergo Diurno Salus

A questo primo momento seguì la performance Cleaning memory, svolta il 24 gennaio 2009 e inserita nel circuito di Arte Fiera off: un’azione collettiva di pulizia “partecipata” delle vetrine, dell’insegna e delle pareti esterne del Cobianchi, dai volantini e affiches abusivi che negli anni ne avevano ricoperto interamente i vetri. Un’azione semplice per “riattivare” la memoria e ridare visibilità a un luogo di grande interesse e importanza storico-artistica. Un’azione di cura e attenzione condivisa, giocosa e gioiosa che, nel suo farsi, oltre a raccontare la storia di un gioiello del liberty, sollecitava una riflessione/azione e un’assunzione di responsabilità nei confronti di quello spazio pubblico ricco del fascino di antichi rituali caratterizzanti le nostre città del passato. 

Al termine del lavoro, cui hanno partecipato anche i passanti, le vetrine e l’insegna furono riportate alla luce anche grazie all’installazione di una fonte luminosa. Titoli diversi hanno poi segnato, nel tempo, l’allargarsi di quella prima azione performativa in altri happening (sempre collettivi e di richiamo e invito al pubblico della strada): Public wash-houses l’anno successivo rendeva la riflessione sugli spazi Cobianchi da locale e nazionale (lavorando sul Diurno Venezia di Milano e a Roma) a internazionale, con un riferimento alla diversa sorte toccata alle “Public washing houses” di Londra, restaurate con grande accuratezza e poi riaperte al pubblico.

Interno Albergo Diurno Cobianchi. Foto Daniela Spagna Musso in collaborazione con Marcella Fierro

Nel 2010, in occasione di Arte Fiera e sempre in collaborazione con NEON, l’ultimo atto, Reflexive map, con il quale abbiamo iniziato il nostro racconto, e ancora Open the door, progetto ancora aperto. A motivare queste azioni un’unica, pressante riflessione/proposta: perché non salvare e rimettere in funzione gli alberghi diurni superstiti (che in Italia sono per la maggior parte spazi in abbandono o riaperti in qualche città perché solo temporaneamente prestati all’arte contemporanea oppure perché ne è stato riconvertito l’uso)? 

Nel dicembre 2011, inoltre, si è tenuta nella Biblioteca Salaborsa a Bologna la mostra Open the door per presentare la documentazione fotografica sulla ricerca sui diurni di Bologna e delle altre città italiane, presso l’Urban Center. La speranza è sempre stata la conservazione e la tutela, dove questo è ancora possibile, di un luogo che dovrebbe rientrare a pieno nella classificazione di bene culturale. Il progetto voleva e vorrebbe ridare la possibilità di visitare un luogo normalmente non più accessibile, di cui all’esterno è visibile solo la bellissima insegna Liberty, che dalla performance Cleaning memory ricorda a cittadini e passanti l’attività del Diurno.

Reflexive map 2011. Foto Daniela Spagna Musso

E non potrebbero davvero gli Alberghi diurni Cobianchi essere considerati, come suggerisce a più riprese l’artista, un bene culturale da salvaguardare, un patrimonio di tutti, da difendere, promuovere e sostenere conservandolo? Domanda-pungolo, questa, volta a indagare ulteriormente e criticamente ciò che si intende e si pratica comunemente nel nostro paese come “conservazione”nel paesaggio naturale ed urbano.

La memoria dei luoghi, l’andare all’incontro con la loro anima profonda, in molti dei lavori artistici di Daniela Spagna Musso è un filo sottile e resistente che si nutre e porta sempre le tracce culturali del passato percorso dell’arte. Nel caso specifico Spagna Musso cita esplicitamente il viaggio fotografico Per un trattamento completo che l’artista Franco Vaccari fece nel 1971 ritornando, a Milano, al Cobianchi di piazza Duomo, nel quale quando era studente universitario andava a lavarsi ogni settimana, ma rilegge, reinterpreta e dinamizza quell’azione attraverso gli stimoli e il vento della contemporaneità.

Reflexive Map 2011. Foto Daniela Spagna Musso
Reflexive Map 2011. Foto Daniela Spagna Musso

Ecco che qui l’arte, attraverso un particolare percorso e declinazione della public art, nel rispetto assoluto della sua autonomia e libertà, può agire fortemente sul sociale, sull’impegno e il coinvolgimento responsabile, suggerendo e innescando dei possibili cambiamenti di mentalità e di cultura, e può diventare agente attivo nella città e nel paesaggio (urbano e naturale, storico e affettivo) che vorremmo segnati sempre più da luoghi antropologici, identitari e relazionali. 

E nel suo far ricorso alla memoria essa non invita a un’azione segnata dalla mera nostalgia per ciò che non c’è più, ma è propositiva di un’azione dinamica e di cambiamento. Guarda al passato per un’analisi e un’azione sul presente, inserendosi, mi sembra perfettamente, nel divenire metropolitano giacché anche un rapido e distratto sguardo sulle realtà quotidiane delle strade delle nostre città spingerebbe a considerare la riapertura e il riutilizzo dei vecchi Cobianchi non solo come un’operazione “estetica” e di salvaguardia e conservazione di gioielli architettonico-artistici ma di rilancio funzionale di uno spazio popolare in cui ritrovare un tempo per la cura di sé, spazi che sono ormai irrimediabilmente scomparsi. Uno spazio del quale, inoltre, ci sarebbe un rinnovato e pressante bisogno ai nostri giorni di sempre crescenti e pervasive nuove povertà.

Particolare Albergo Diurno Via Montegrappa, Bologna. Foto Daniela Spagna Musso

In copertina: Albergo Diurno Cobianchi. Dettagli del prezzario – Foto Daniela Spagna Musso