Arte e lavoro: un incontro
Non è facile entrare con l’arte all’interno dei luoghi di lavoro. E ancor meno lo è se con l’arte si vogliono attivare relazioni vive e larghe fra impresa e contesto umano, instaurare rapporti che vadano a sollecitare risposte affettive, memorie collettive e individuali, poco istituzionali, non legate al “marketing” e all’immagine aziendale, risposte insomma dal cuore e dall’immaginazione.
Cuore di pietra è il progetto di arte contemporanea che sta lasciando a Pianoro segni grandi e piccoli, frutto di relazioni durature nel tempo, di conoscenza e di ascolto attento del territorio. Nel 2011, di fronte alla crisi economica che stava portando un po’ ovunque in Italia a tagli alla scuola e alla cultura, si decise di intraprendere una nuova azione di resistenza. Troppi i racconti degli abitanti sui loro problemi di lavoro, troppi quelli dei bambini su genitori in cassa integrazione, tristi e dagli occhi spenti, troppi i racconti di giovani e stranieri, che lavoro non ne vedevano proprio più. Troppi i progetti culturali il cui futuro stava per essere tagliato, anche il nostro.

Nel giugno del 2011, nel corso di quella che rischiava di essere l’ultima manifestazione di Cuore di pietra, abbiamo presentato Servabo, il tavolo-panca a forma di punto interrogativo con le stampe pellicolari delle mappe “emotive” disegnate con gli adolescenti italiani e stranieri di due gruppi di aggregazione e abbiamo annunciato che non ci saremmo fermati. Servabo: conserverò, manterrò fede. Quel punto interrogativo nello spazio pubblico, nell’area verde fra la biblioteca e la scuola, voleva essere un dubbio aperto sul futuro, ma anche, per noi, monito e pungolo a non fermarsi. In quel momento Cuore di pietra decideva di portare l’arte nel mondo del lavoro e di costruire ponti fra artisti, imprenditori, operai e abitanti cercando di allentare i cardini delle porte che separano l’interno dall’esterno delle fabbriche e cancellare le distanze.
Volevamo cercare di avvicinare, seppur temporaneamente, quelle aree, che vivono separate, al centro del paese, volevamo creare empatia, solidarietà, calore con progetti e segni frutto della tessitura di relazioni con luoghi e persone. Così, dai molti incontri e visite fatte insieme agli artisti con alcune classi delle scuole, e con giovani allievi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna e dalla progressiva reciproca conoscenza, siamo partiti volendo sovvertire, con levità e spirito un po’ birichino, anche la pratica di un mecenatismo, che segna spesso i rapporti fra arte e impresa, che il più delle volte è indifferente agli stessi progetti che sostiene.
L’avvicinamento al mondo del lavoro è stato, nel corso di quattro anni, progressivo ma costante, e le disponibilità delle aziende mai le stesse.

Ci siamo avvicinati ai ricordi del lavoro di una vita, dalla nascita dell’area industriale e artigianale coincisa proprio con la ricostruzione del paese nell’immediato dopoguerra. Un’area vasta e importante. Siamo entrati in 33 aziende. Per tre anni Marino e Bruna Morotti dell’officina omonima hanno offerto a Cuore di pietra un grande capannone che è stato la base operativa dalla quale partire per le nostre passeggiate esplorative, area per workshop e incontri, mostre, installazioni temporanee e work in progress.
Ci hanno raccontato di officine e industrie che non ci sono più, di altre che, chiuse, restavano come rovine, di altre ancora che la crisi non sembrava scalfire, vere eccellenze sul territorio, di altre in bilico. Così, a partire anche dalle relazioni che avevamo intessuto nel tempo, ha incominciato a definirsi più chiaramente in noi l’area di riflessione e d’azione: e realtà produttive, la loro memoria e quella di chi ci ha lavorato e di chi ci lavora, dei materiali utilizzati e degli oggetti prodotti.
L’archivio che abbiamo raccolto, di progetti artistici, voci e immagini, è sconfinato.

Diversi sono stati i linguaggi di intervento dei vari artisti: Andreco con le sue Icone dal lavoro resistente ricostruisce e traccia un percorso di memorie dalla Resistenza al presente dell’area artigianale, da una parete esterna della Biblioteca Mucini all’esterno di alcune aziende: Manutencoperti, Athena’s, Ronca Montaggi, Morotti ed altre.
Anna Rossi, con i tre grandi pannelli Made in Pianoro segna le tre aree artigianali e industriali di via del Lavoro, la Piastrella e via del Fiffo, all’ingresso del grande impianto Sayerlack. Made in Pianoro mostra gli oggetti e gli scarti delle produzioni locali fotografati attraverso un taumascopio e diventati piccoli mondi fantastici.
“Ho trasformato i frammenti recuperati in piccole apparizioni, in modo che potessero sprigionare la loro aura. Le apparizioni non sono altro che la loro moltiplicazione in tante piccole immagini ripetute, come anime fuoriuscite dai materiali. Così gli oggetti entrano in uno stato poetico pur continuando a parlare di se stessi e forse di chi li ha fatti.”
(Anna Rossi)

Mona Lisa Tina, con La trama delle memorie, ha ricostruito le varie attività produttive e ha unito in una performance itinerante insieme a un gruppo di giovani artisti dell’Accademia il centro del paese al capannone di Cuore di pietra.
E poi Emilio Fantin con una tappa del suo laboratorio Dynamica, su processi artistici e natura, Roberta Piccioni e Marco Fantini con la creazione di un impasto e di un pane rituale, il Cum panis, prodotto insieme al forno Sabattini ogni anno in occasione della Giornata del contemporaneo di AMACI e di altre manifestazioni di Cuore di pietra. E Francesco Careri, Giovanna Caimmi, Laura Bisotti e Simona Paladino, Piero Orlandi, e ancora Daniela Spagna Musso, Gabriella Presutto, Alessandra Carta.

Rita Correddu – che già nel 2012 aveva registrato i battiti del cuore degli abitanti di Pianoro, facendoli riecheggiare da una delle casette a schiera di via Carducci prima che fossero abbattute – ha ripreso il suo progetto Bit e registrato i battiti cardiaci dei lavoratori e i rumori delle aziende. Con il musicista Michele Braga ha composto una sinfonia che il giorno dell’inaugurazione, nel giugno 2014, le aziende partecipanti hanno fatto risuonare all’esterno, dalle finestre aperte delle loro sedi. Un’unica sinfonia di suoni e rumori univa il centro del paese e il palazzo del Municipio all’area industriale e artigianale, da Pianoro Nuovo a Pianoro Vecchio, a Rastignano. Una polifonia di suoni che ha accompagnato una delle passeggiate che da sempre, per Cuore di pietra, sono metodo privilegiato di esplorazione e conoscenza del territorio.
“Quando siete venuti a registrare i battiti cardiaci ci siamo emozionati. Un ragazzo che lavora ad una delle macchine, quando ha potuto sentire attraverso l’auricolare il rumore interno della sua macchina insieme al suono del suo stesso cuore aveva quasi le lacrime agli occhi… Come far capire che quel tempo che “concedi” a chi lavora con te per fare un’esperienza diversa ti ritornerà di sicuro in termini di serenità e di gradevolezza nel mondo del lavoro? …Se uno dei ragazzi che lavorano con te ha un lasso di tempo di felicità mentre lavora, se lo porterà sempre dentro. L’ISU, l’indice di sviluppo umano (scuola, cultura, tempo libero e felicità) è importante quanto il PIL.”
(Francesco Flamini – STAFF Serigrafia Industriale)

Nel corso delle tante visite che con Thierry Weyd abbiamo fatto alle aziende insieme agli studenti dell’Accademia, abbiamo incontrato Giovanni, un operaio specializzato nella lavorazione del cemento armato e addetto a un macchinario che ce lo ha fatto subito apparire come al timone di un vascello. Giovanni in quel periodo non lavorava tutti i giorni, era in cassa integrazione, e in azienda si oscillava fra momenti di grande abbattimento e sconforto e altri di grande fiducia quando il mercato sembrava piano piano avere cenni di ripresa. L’azienda valutava con ansia l’eventualità di una chiusura o il trasferimento in uno dei paesi in via di sviluppo. Resistevano, fra sorrisi e tristezze, ma con grande dignità e disponibilità. Giovanni amava il suo “timone”, come molti altri che abbiamo incontrato amavano profondamente il loro lavoro e il macchinario o quel pezzo specifico che sono abili a produrre. L’incontro con gli artisti è stato un incontro fra due “arti”.

Quando Nicola Albatici, giovane artista dell’Accademia, ha fotografato Giovanni al suo timone, in quella immagine ha letto una risposta dei nostri tempi al Naufragio della speranza, dipinto di C. D. Friedrich che agli albori dell’epoca moderna, in un vascello bloccato dal ghiaccio, aveva racchiuso la toccante allegoria di uno stadio della melanconia: paralisi, inazione, incapacità di progettare, di proiettarsi verso un futuro. Verso Nuova Speranza è il titolo della grande foto, diventata un cartello stradale, in cui Giovanni, al timone del suo macchinario traghetta il suo vascello verso un futuro in cui arte, vita e lavoro ci portano tutti, attraverso lo spirito di una progettualità viva e molteplice, a ridisegnare il nostro paesaggio diventato ormai – così vorremmo augurarci, consapevoli della condizione dissestata e sempre precaria della strada intrapresa – un prezioso bene comune.

Ritrovo, in un bel libretto di Salvatore Settis dedicato all’educazione, alla cura e alla responsabilità, al bene comune e alla cittadinanza attiva, l’interrogativo “Il mondo salverà la bellezza?”. Educare il mondo a salvare la bellezza, che impresa! A chi continuamente e più o meno retoricamente ripete che bisogna puntare sulla bellezza, citando la frase di Dostoevskij “La bellezza salverà il mondo” (L’idiota) senza tener conto del contesto nel quale essa è pronunciata, delle grandi contraddizioni e amarezze costate al principe Myškin e della fine non certo di speranza del romanzo, ho sempre voluto opporre la “bellezza convulsa” che ritrovo nei surrealisti (“La bellezza sarà convulsa o non sarà”– scriveva André Breton in Nadja e in L’amour fou). “Convulsa” per noi vuol dire dinamica, effusiva, in sintonia con la città e il territorio/paesaggio che mutano, una bellezza quindi anch’essa sempre in progress e pronta a ridefinirsi, ma soprattutto viva e vissuta, in primo luogo, da tutti coloro che, avendo contribuito a disegnarla, sono pronti poi anche a prendersene cura.

Note:
Testimonianza e belle sintesi di quest’avventura sono stati il libro Cuore di pietra/Lavoro a cura di Mili Romano, ed. Fausto Lupetti 2015, e il film documentario Lavoro ad arte di Marco Mensa ed Elisa Mereghetti, produzione Ethnos / Associazione Cuore di Pietra con il sostegno di Emilia-Romagna Film Commission.
In copertina: Mili Romano, “Servabo”, Biblioteca Silvio Mucini, 2011 (foto Marco Mensa)
About Author / Mili Romano
Artista e curatrice, si occupa di antropologia urbana, antropologia visuale e di arte negli spazi pubblici.